Da Roma a Londra, da Parigi a Berlino, con gli occhi a Kiev e la testa a Bruxelles, la settimana politica si è imperniata sugli impegni europei. La prima importante novità è la riforma del patto di stabilità presentata dalla Commissione europea: restano i limiti del 3% (rapporto deficit/Pil) e 60% (rapporto debito/Pil), ma si riconosce flessibilità alle modalità di rientro dei conti pubblici verso questi parametri. Qualora poi non venissero rispettate le nuove formule di bilancio, le sanzioni stavolta scatterebbero in modo automatico. La Germania voleva molta più attenzione ai conti, l’Italia maggiore flessibilità. Alla fine, di fatto, ne è uscita una via di mezzo. Se il nostro ministro dell’Economia Giorgetti, pur apprezzando il primo passo compiuto, si è mostrato deluso del fatto che nel conteggio del debito verranno inclusi anche gli investimenti del Pnrr, dall’altro la Germania, che è riuscita a strappare l’obbligo per tutti gli stati che sforano le soglie del 3% del deficit e 60% del debito, di ridurre il deficit annuo dello 0,5%, non è ancora soddisfatta del pacchetto nel suo complesso: lascia troppo margine negoziale tra gli stati e la Commissione europea nell’elaborazione dei piani di rientro da debito (quadriennali prorogabili a sette).
Anche con la Francia i rapporti sono tornati tesi, dopo la decisione di Macron di blindare i confini con l’Italia e aggiungere 150 guardie di frontiera sulle Alpi marittime per fermare il flusso di migranti verso le sue città, dopo la notizia dell’aumento degli sbarchi sulle coste meridionali dell’Italia.
Anche per questo la Meloni è volata a Londra, per incontrare il premier inglese Rishi Sunak e rinsaldare l’asse italo-inglese su varie questioni, prima tra tutte quella dei migranti. In particolare, i due leader hanno condiviso l’obiettivo di “un cambio di passo nell’approccio alla politica migratoria”, che punti a renderne “prioritaria la dimensione esterna” come “soluzione strutturale per prevenire la migrazione illegale e stabilizzare i flussi”.
Nella settimana, inoltre, si è svolta a Roma la prima Conferenza bilaterale per la ricostruzione dell’Ucraina, un appuntamento tra istituzioni e imprese italiane nel quale l’Italia ha annunciato il suo contributo di 100 milioni di euro al fondo di garanzia della Banca europea per gli investimenti destinato a Kiev. Come stimato dalla Bei, le stime dei fabbisogni sono ingenti e per il periodo 2023-2033 superano i 400 miliardi di dollari. Finora sono stati mobilizzati oltre 100 miliardi per l’Ucraina. Anche per questo motivo il presidente ucraino Zelensky si è collegato in video alla Conferenza per esprimere personalmente il suo ringraziamento all’Italia e a Giorgia Meloni per l’impegno e la vicinanza. Ma il contatto più importante Zelensky lo ha avuto in settimana con il presidente cinese Xi Jinping. Una telefonata di circa un’ora che potrebbe avere accorciato i tempi della guerra. Così almeno si sono espressi molti commentatori, spiegando la linea di Pechino a difesa della sovranità territoriale di tutti gli stati, un principio che comprenderebbe quindi anche Taiwan. Un messaggio, pertanto, rivolto agli USA, sebbene Washington, da quanto risulta, non fosse stata avvertita preventivamente della telefonata.
E mentre si costruivano i nuovi assetti europei in Italia accadeva qualcosa di imprevisto. Talmente imprevisto da aver causato l’epica arrabbiatura della premier Meloni: giovedì la coalizione che sostiene il governo è andata sotto alla Camera per la prima volta. Al centrodestra sono mancati 6 voti ed è stata così respinta la risoluzione di maggioranza sullo scostamento di bilancio, i 3,4 miliardi per il 2023 a copertura del taglio del cuneo nel decreto da varare nel Cdm del primo maggio. Una riunione lampo del governo ha poi approvato di nuovo il Def e Camera e Senato entro sabato possono completare l’esame e la votazione del testo. La causa sta nelle assenze, in parte giustificate (o giustificabili), in parte no. Ma la “brutta figura” resta, anche perché la premier si trovava in quelle ore a Londra al cospetto di Sunak e questa scivolata ha rischiato di indebolire simbolicamente la sua credibilità anche a livello internazionale.
Sull’altro versante, Elly Schlein ha dovuto fare i conti con due nuove defezione, quella del senatore Enrico Borghi, che il Pd aveva inviato al Copasir e che adesso è entrato in Italia viva, e quella dell’eurodeputata Caterina Chinnici, che invece è passata in Forza Italia. Ma è il prezzo, tuttavia, che la nuova segretaria deve pagare per completare la sua marcia verso il rinnovamento totale del suo partito, a cominciare dal suo personale look, una mossa che nel bene o nel male le ha consegnato molta popolarità, come dimostra uno degli hashtag di tendenza su Twitter nel fine settimana: #armocromia.