Esteri

I 27 e l’arte del rinvio, tra lampi di pace in Ucraina e fuochi di guerra in Medio Oriente

21
Marzo 2025
Di Giampiero Gramaglia

L’incertezza tra lampi di pace in Ucraina e fuochi di guerra in Medio Oriente e le divisioni sul piano “di riarmo” dell’Ue da 800 miliardi di euro, inducono i leader dei 27 alla scelta loro più congeniale: il rinvio. Le decisioni sul piano, ‘ribattezzato’ in tutta fretta ‘Readiness2030’ – desta meno ostilità, solo perché non si capisce cos’è -, restano congelate fino al 26 e 27 giugno, quando tutti sperano che gli orizzonti internazionali si siano rischiarati e che l’urgenza si sia stemperata.

Un esercizio d’attendismo – e d’ottimismo – che stona con la drammaticità del momento, con l’Ue nella morsa tra la minaccia russa e l’ostilità degli Stati Uniti di Donald Trump. A verbale del vertice di Bruxelles, resta la ribadita vicinanza all’Ucraina (neppure unanime, perché l’Ungheria si dissocia di nuovo dai partner): un’affermazione retorica e sostanzialmente vuota.

In parallelo ai tentennamenti dei 27, vanno avanti i negoziati fra i ‘volenterosi’, una trentina di Paesi pronti a contribuire alla sicurezza dell’Ucraina, garantendo il rispetto delle condizioni della tregua che verrà: dopo quella di Londra giovedì, hanno già in programma una riunione a Parigi giovedì 27. Il presidente francese Emmanuel Macron dice: “Dobbiamo mostrare d’essere decisi a sostenere l’Ucraina nella sua resistenza e dobbiamo essere pronti il giorno che verrà firmata la pace”.

Ma, quel che più conta, vanno avanti le trattative nel triangolo Usa – Ucraina – Russia: obiettivo, trasformare la tregua molto ridotta scaturita dalla telefonata di martedì 18 tra i presidenti Usa Trump e russo Vladimir Putin in un cessate-il-fuoco più sostanzioso, di terra, di mare e di cielo.

Ue: i commenti all’esito del vertice di Bruxelles
I commenti all’esito del vertice di Bruxelles, conclusosi in una sola giornata – doveva protrarsi fino a oggi, ma s’è chiuso ieri sera – non sono lusinghieri. Politico contrappone i “giochi sporchi”, o “giochetti”, dell’Ue ai “giochi di guerra in Europa” e si fa un po’ beffe dell’improvvisa fretta di fare dell’Unione “una super-potenza militare”: i leader dei 27, che volevano accelerare le spese militari, dare sostegno all’Ucraina, stimolare la competitività, discutere di Medio Oriente e d’immigrazione, tornano a casa con un sacchetto di parole. Di positivo, se vogliamo, c’è che l’opposizione isolata dell’Ungheria sull’Ucraina non fa più notizia e non catalizza le discussioni: i 27 ne prendono atto e, ove necessario, vanno avanti a 26. Le Monde rileva che il dibattito sul piano presentato dalla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen s’è focalizzato più sulle modalità di finanziamento che sulla destinazione degli investimenti: “Gli animi dei leader dei 27 si agitano sulla prospettiva di un nuovo grande prestito comune”, di dimensioni più ridotte – 150 miliardi di euro -, ma simile, a quel NextGenEu con cui l’Ue uscì dalla pandemia. Il giornale francese spiega: “Prima dell’arrivo alla cancelleria a Berlino di Friedrich Merz, ma dopo che la Germania ha allargato i cordoni della sua borsa, numerosi leader europei si dicono favorevoli ad emettere delle euro-obbligazioni per finanziare lo sforzo di difesa europeo. Il Partito popolare europeo, prima forza politica in seno alle istituzioni europee, è favorevole, se necessario”. Alla vigilia del vertice, la presidente della Banca centrale europea Christine Lagarde ha avvertito dei rischi di una guerra dei dazi con gli Usa, che limerebbe la crescita e spingerebbe su l’inflazione: “il ricatto dei dazi”, come l’ha definito Lagarde, è un’arma che danneggia tutti e non favorisce nessuno. Resta da vedere se Trump lo capirà: la Federal Reserve glielo ricorda, niente calo dei tassi finché c’è l’incubo dei dazi.

Ucraina: i negoziati nel triangolo Usa – Ucraina – Russia
Ben più che a Bruxelles, i destini dell’Ucraina dipendono da quanto è accaduto e/o sta per accadere in Arabia Saudita, dove la prossima settimana ci sarà un nuovo round negoziale tra le delegazioni di Washington e Kiev. Il negoziatore Usa Steve Witkoff punta a un accordo entro due settimane. Una telefonata, mercoledì, tra Trump e il presidente ucraino Volodymyr Zelensky è stata “positiva” – l’Ucraina avalla quanto concordato tra Trump e Putin -, ma i contorni di un reale cessate-il-fuoco restano incerti. Le cronache dalle città e dal fronte testimoniano che la tregua concordata da Trump e Putin è evanescente: non frena i combattimenti e non impedisce i bombardamenti incrociati. Non è neppure chiaro che cosa significhi che gli Usa debbano “prendere il controllo” delle centrali nucleari ucraine, essendo, tra l’altro, la più grande, quella di Zaporizzja da quasi tre anni nelle mani dei russi. L’unico vero effetto ottenuto, finora, dalla diplomazia del Trump 2 è la riabilitazione di Putin come attore a pieno titolo sulla scena internazionale, ‘abbonandogli’ l’invasione dell’Ucraina e i crimini di guerra. Ma gli europei continuano a mostrargli diffidenza: “Solo armando l’Ucraina fino ai denti potremo essere dissuasivi con Putin”, dice Alexander Stubb, presidente finlandese, ricevendo Zelensky.

Medio Oriente: il ritorno della guerra
Le attese di pace in Ucraina contrastano con il ritorno del clima di guerra tra Israele e Hamas: dopo circa due mesi esatti di tregua, la Striscia di Gaza è di nuovo teatro di bombardamenti indiscriminati (oltre 500 le vittime in tre giorni) e di esodi di sfollati a migliaia dalle loro case semi-distrutte, mentre Israele taglia l’elettricità e limita gli aiuti umanitari. Le risposte di Hamas con razzi sono velleitarie e senza esito. I missili degli Huthi lanciati dallo Yemen vengono intercettati. I militari israeliani richiudono il transito dei palestinesi da Israele verso il nord di Gaza e riprendono il controllo del corridoio che taglia in due la Striscia. L’obiettivo dichiarato di Israele è “espandere la zona di sicurezza e creare un’intercapedine tra il nord e il sud della Striscia”. Hamas reclama l’attuazione delle condizioni della seconda fase della tregua concordata in gennaio: ritiro di Israele dalla Striscia e liberazione degli ostaggi tuttora detenuti – una cinquantina, solo 15 dei quali sarebbero ancora vivi -. Per il premier israeliano Benjamin Netanyahu, la ripresa della guerra significa il consolidamento della sua maggioranza, che la tregua aveva incrinata. E Trump avalla tutte le sue scelte.