Esteri
Hong Kong, da 27 anni non più britannica. Ma la storia è appena iniziata
Di Giuliana Mastri
“Un Paese due sistemi”, con questa celebre espressione ci si riferisce a Hong Kong, territorio insulare confinante con la Cina, che oggi celebra il suo 27° anniversario del passaggio dalla Gran Bretagna, di cui era colonia, alla Cina.
Dopo la Prima Guerra dell’Oppio, l’isola di Hong Kong fu ceduta, per un periodo indefinito di tempo, dalla Cina e la Gran Bretagna tramite il trattato di Nanchino del 1842. Nella Seconda Guerra Mondiale cadde nelle mani dei giapponesi, che la trasformarono nel centro militare della campagna in Asia. I britannici recuperarono Hong Kong nel 1945, dopo la resa incondizionata del Giappone.
Si arrivò all’accordo tra Regno Unito e Cina per la restituzione di Hong Kong nel 1984, il documento entrò in vigore nel 1985 ma è solo nel 1997 che avviene l’intera restituzione della regione, comprese altri possedimenti limitrofi. Da quel momento Pechino designa Hong Kong “regione amministrativa speciale”, permettendo una relativa autonomia politica e consentendo l’economia di mercato al suo interno, ma stabilendo che nel 2047 sarebbe dovuta tornare a pieno titolo nella mani della Repubblica Popolare Cinese.
Ed è per via dio ciò che la situazione a Hong Kong non può definirsi stabile. Il “porto profumato” ha avuto tempo nella storia di sviluppare sensibilità per il modello istituzionale democratico e non tollera le sempre maggiori ingerenze cinesi. Un risultato è la forte emigrazione (nel 2020 la popolazione di Hong Kong era diminuita di 90mila residenti, perdendone altri 23.600 nel 2021) e le conseguenze principali sono le proteste popolari, che negli ultimi anni stanno palesando le tensioni esistenti tra il Dragone e Hong Kong.
Nel 2014 infatti ha fatto scalpore la grande “protesta degli ombrelli” e nel 2019-2020 i disordini si sono riacutizzati. La lotta dei cittadini del porto profumato è volta ad ottenere un processo elettorale totalmente democratico, la libertà della magistratura e delle istituzioni universitarie. Libertà che lo stesso Xi Jinping ha criticato riferendosi agli abitanti di Hong Kong, ribadendo, nella sua visita sull’isola nel 2022, che la fine dello status di regione speciale programmato in futuro è imprescindibile.
Tra i passaggi chiave dello scontro politico tra Cina e Hong Kong c’è quello sulla legge elettorale voluta dalla Cina, che Hong Kong ha rigettato nel 2015, ma tuttavia Pechino è riuscita ad annullare l’elezione di due parlamentari pro-indipendenza, e il caso della legge sull’estradizione: nel 2018 un ragazzo di Hong Kong viene accusato d’omicidio a Taiwan, che ne chiede l’estradizione. Non esiste però una norma che consenta l’estradizione tra i due territori, così si fa appello alla legge sull’estradizione tra Cina e Taiwan. Anche in questo caso si riscontrano intoppi, così Pechino decide di proporre una riforma della legge sull’estradizione relativa al porto profumato. Tale legge però viene aspramente criticata, poiché, non solo permetterebbe di essere processati anche in Cina, ma sarebbe stata potenzialmente lesiva dei diritti e molto opaca da un punto di vista dei principi procedurali. Gli avvocati dell’isola lamentano un’entrata a gamba tesa della Cina nella giustizia della regione speciale, con la possibilità di influenzare le decisioni. Nel 2019 la legge di riforma dell’estradizione viene ritirata.
Sempre in questi anni la Cina ha varato una pesante legge sulla sicurezza, con pene severissime, per scoraggiare la forte ondata di conflitti che si stanno generando con l’isola. Per adesso non si assiste a nuove recrudescenze, ma è difficile pensare che la situazione possa rasserenarsi da qui al 2047.