Esteri
Guerre, un punto: Ucraina, fermenti a Mosca e Kiev; Gaza, attesa per Rafah
Di Giampiero Gramaglia
Diplomazia e combattimenti s’intrecciano, tra l’Ucraina, dove i russi avanzano su Kharkiv, mentre il segretario di Stato Usa Antony Blinken torna a Kiev, e la Striscia di Gaza, dove l’attesa d’un’operazione di terra massiccia a Rafah è sfibrante, mentre le trattative stallano. Per la prima volta da mesi, c’è più fermento sul fronte ucraino che su quello mediorientale.
E, tra giovedì e venerdì, a Pechino, i presidenti cinese Xi Jinping e russo Vladimir Putin s’incontrano: una visita di Stato in pompa magna, la prima missione all’estero di Putin dall’insediamento per il suo quinto mandato e la seconda in Cina in sette mesi. A ottobre, Putin era stato l’ospite speciale al terzo forum della Belt and Road Initiative, la Nuova Via della Seta lanciata da Xi nel 2013.
Ucraina: Blinken porta a Zelensky sostegno di Biden; valzer di generali a Mosca e Kiev
Ufficialmente, la missione a Kiev di Blinken vuole riassicurare l’Ucraina del forte sostegno degli Usa e dell’Occidente, in un momento di difficoltà per l’esercito ucraino, nell’attesa dell’arrivo degli aiuti promessi e stanziati da Washington, dall’Ue e dalla Nato. Ma non è escluso che il segretario di Stato Usa abbia sondato presidente ucraino Volodymyr Zelenski, che chiede con urgenza batterie Patriot e altri sistemi di difesa anti-aerea, sulla gravità della situazione al fronte.
Blinken torna a Kiev dopo oltre otto mesi – nel frattempo, è stato sette volte in Medio Oriente – e, in un discorso, evidenzia il sostegno degli Usa all’Ucraina, politico e militare, economico e per il rafforzamento delle istituzioni democratiche. La visita, però, coincide con l’offensiva e l’avanzata delle truppe russe nel Nord-Est dell’Ucraina: nelle ultime settimane, gli invasori hanno occupato diverse località, le conquiste territoriali più significative dalla fine dell’estate 2022; e Kharkiv, ripresa dagli ucraini allora, è di nuovo sotto tiro, anche se analisti militari ritengono che Mosca intenda solo creare un cuscinetto per riparare i suoi territori da droni e missili ucraini.
Un bombardamento durato dieci ore ha aperto l’offensiva dei russi nella regione di Kharkiv. La città di Vovchansk è in fiamme, riferiscono i media ucraini, e i civili cercano di abbandonare l’area. Zelensky parla di “combattimenti feroci” e dice che l’attacco è stato respinto, ma i generali riconoscono le difficoltà sul campo. Per le fonti russe, non si tratta di una vera e propria offensiva, ma di una missione di ricognizione che, comunque, ha già portato alla presa di alcuni villaggi.
Non è univoca neppure l’interpretazione degli avvicendamenti di ministri e generali a Mosca e a Kiev. Putin rimpiazza il ministro della difesa Sergei Shoigu con Andrey Belousov, che è un civile e un economista. Shoigu diventa segretario generale del Consiglio di Sicurezza: prende il posto di Nikolai Patrushev, che va a fare il consigliere al Cremlino (e suo figlio diventa vice-premier).
Il rimpasto, che dà a tutti un contentino, coincide in pratica con l’inizio del quinto mandato del leader russo. Due delle figure più in vista della macchina da guerra russa, Shoigu e Patrushev, perdono il posto, mentre resta in carica il ministro degli Esteri Sergei Lavrov. Timur Ivanov, vice di Shoigu, era stato arrestato in aprile con l’accusa di corruzione.
Che cosa signifca? Shoigu era da tempo criticato, specie per la catastrofica gestione delle prime fasi dell’invasione (ma ‘farlo fuori’ 18 mesi dopo appare tardivo); la scelta d’un economista al suo posto viene letta da qualcuno come la necessità a prepararsi “ad anni di guerra”, ma Dmitry Peskov, portavoce del Cremlino, la spiega col desiderio di “essere aperti all’innovazione e a idee risolutive”, per chiudere in fretta la partita.
Dal canto suo, L’Ucraina rimuove il comandante responsabile dell’area di Kharkiv, sostituendo Yuriy Galushkin con il generale di brigata Mykhailo Drapatyi. L’avvicendamento coincide con “significativi peggioramenti” della situazione in quello scacchiere – l’ammissione è ucraina -, dove la città di Vovchansk sta diventando un luogo simbolo della ferocia dei combattimenti come Mariupol prima e Bakhmut poi. Ora più che mai, servono soldati da spedire al fronte: Zelensky sollecita l’arruolamento anche degli uomini che sono all’estero. La scorsa settimana, il presidente aveva anche avvicendato il comandante delle operazioni speciali, quelle nei territori occupati o direttamente in Russia. In un attacco su Belgorod, città di frontiera russa, almeno 13 civili sono stati uccise e decine sono rimasti feriti quando un missile ha sventrato una fetta di condominio: l’azione ha coinciso con le celebrazioni, in Russia, dell’anniversario della vittoria sul nazismo, il 9 maggio. Del resto, la notte prima aveva visto un attacco russo “da incubo” sulle difese e le infrastrutture ucraine, con 50 missili e droni: le capacità ucraine di intercettarli si sono assottigliate, i danni subiti sono importanti.
A Mosca, Putin ha celebrato l’anniversario sulla Piazza Rossa, riproponendo i temi a lui cari e denunciando “l’arroganza” dell’Occidente, che rischia di trascinare il mondo in un conflitto globale. “La Russia farà tutto il possibile per prevenire un confronto globale, ma non permetterà a nessuno di minacciarci … Le nostre forze strategiche – leggi nucleari, ndr – sono pronte a combattere”.
Putin ha pure confermato che reparti russi e della Bielorussia condurranno esercitazioni nucleari con armi tattiche. Secondo un’indagine su immagini satellitari fatta dal New York Times, la Russia sta costruendo in Bielorussia strutture che potrebbero ospitare armi atomiche: gli esperti rilevano miglioramenti in un deposito di munizioni risalente ai tempi della Guerra Fredda senza precedenti nei depositi nucleari russi.
A livello di aiuti dell’Occidente all’Ucraina, gli Usa hanno pronto un pacchetto da 400 milioni, parte dello stanziamento da 60 miliardi sbloccato a fine aprile. E l’Ue convertirà in aiuti tre miliardi di euro ricavati dal congelamento di beni russi in territorio europeo. Il presidente Usa Joe Biden ha, dal canto suo, messo al bando l’import di uranio dalla Russia, del valore di un miliardo di dollari l’anno. Il provvedimento dovrebbe avere un impatto positivo sull’industria dell’uranio americana.
Medio Oriente: Israele tiene Rafah sotto tiro, il negoziato alla casella di partenza
L’Amministrazione Biden stima che Israele abbia ammassato un numero di truppe sufficiente, intorno a Rafah, nel sud della Striscia di Gaza, al confine con l’Egitto, da potere condurre un’operazione su vasta scala nei prossimi giorni. Ma non c’è la certezza che la decisione di farlo sia già stata presa: sarebbe una sfida del premier israeliano Benjamin Netanyahu al presidente Biden, che ha più volte detto di essere contrario a un’iniziativa del genere e che s’è impegnato a non fornire a Israele armi che possano essere utilizzate nell’attacco a Rafah.
Però, con una di quelle decisioni apparentemente contraddittorie con le proprie affermazioni che le stanno costando consensi a sinistra e fra i giovani, l’Amministrazione Biden ha notificato, martedì, al Congresso che intende procedere con la vendita a Israele di armi per un miliardo di dollari, dopo avere bloccato la scorsa settimana l’invio d’una partita di bombe ad alto potenziale, nel timore che fossero usate in aree densamente popolate. La stampa Usa, nel dare la notizia, segnala la riluttanza dell’Amministrazione ad ampliare ulteriormente le distanze dal governo Netanyahu. Non è chiaro se il pacchetto di armi, che dovrebbe includere 700 milioni di dollari di munizioni per carri armati, 500 milioni di dollari di veicoli tattici e 60 milioni di colpi di mortaio, sarebbe consegnato, anche in caso di attacco a Rafah.
La Casa Bianca ritiene che l’offensiva di terra a Rafah sarebbe un errore e continua a lavorare perché Israele e Hamas raggiungano un accordo per un cessate-il-fuoco e per la restituzione di tutti gli ostaggi catturati il 7 ottobre, tuttora in vita e trattenuti a Gaza. Ma il negoziato, che pareva prossimo a uno sbocco la scorsa settimana, è ora finito sotto traccia. Gli Stati Uniti chiedono che Israele colleghi le operazioni militari in corso da quasi 220 giorni a una chiara indicazione di quello che dovrebbe essere l’assetto della Striscia dopo la guerra.
Negli ultimi giorni, circa mezzo milione di palestinesi, rifugiatosi nel Sud della Striscia quando l’epicentro della guerra era al Nord, sono stati di nuovo costretti a spostarsi. Alcuni sono tornati verso Nord, dove, però, l’esercito israeliano ha ripreso attacchi e rastrellamenti a Jabalya, perché Hamas starebbe riorganizzandosi. A Rafah, un veicolo con le insegne dell’Onu è stato bersaglio d’una sparatoria: il bilancio dell’episodio è di un morto e un ferito, la dinamica è ancora poco chiara. Il conflitto, innescato dagli attacchi terroristici del 7 ottobre, che causarono circa 1200 vittime in territorio israeliano e portarono alla cattura di quasi 300 ostaggi, ha finora fatto oltre 35 mila vittime palestinesi, soprattutto donne e bambini; oltre 200 i soldati israeliani caduti.
In un clima di crescente isolamento internazionale e di persistenti polemiche interne, con i familiari degli ostaggi che ne reclamano il ritorno, Israele ha celebrato il Giorno della Memoria, in ricordo dei caduti (Yom HaZikaron), e poi la Festa dell’Indipendenza. Il premier Netanyahu e suoi ministri sono stati contestati per non avere ancora trovato un accordo sul rilascio degli ostaggi. Il governo, che non è compatto, ritiene che la guerra – e l’operazione a Rafah – sono l’unico modo per risolvere la crisi, malgrado il parere contrario degli Stati Uniti e della comunità internazionale: “O noi o loro, i mostri di Hamas”; se privati degli armamenti americani, “combatteremo con le unghie … se dovremo fare da soli, faremo da soli”.
Analisti statunitensi ritengono che l’invasione di terra massiccia a Rafah lascerebbe sul terreno vittime civili in gran numero, innescherebbe una reazione, sia pure disperata, di Hamas e creerebbe un vuoto di potere nella Striscia, di cui gruppi terroristici cercheranno di profittare. Sia Blinken che il consigliere per la Sicurezza nazionale Jake Sullivan hanno rilanciato queste previsioni, dopo che il presidente Biden aveva detto che, se partirà l’offensiva, gli Usa cesseranno di trasferire a Israele armamenti che possano esservi impiegati.
Un rapporto del Dipartimento di Stato riconosce che “è ragionevole pensare” che la campagna militare israeliana a Gaza abbia violato le leggi internazionali, senza però raccomandare il blocco degli aiuti militari. Secondo i militari statunitensi, Israele ha i mezzi per l’offensiva a Rafah, ma, senza forniture americane per qualche tempo, le sue capacità militari sarebbero “sensibilmente ridotte”.
I rapporti personali tra Biden e Netanyahu, che non sono mai stati buoni, non sono mai stati così cattivi. Entrambi si ritrovano a fronteggiare contesti interni molto delicati: il presidente è criticato dalla sinistra del suo partito, dai giovani, dagli arabo-americani per l’inefficacia delle sue pressioni su Israele; il premier è condizionato dalle componenti integraliste della società ebraica e sa che, finita la guerra, nuove elezioni potrebbero ‘spazzarlo via’, consegnandolo alla giustizia che aspetta di processarlo.
Medio Oriente: l’Onu certifica con un voto l’isolamento di Israele
L’atteggiamento di Netanyahu sta guastando a Israele i pochi rapporti di buon vicinato e gli sta creando il vuoto intorno. L’Egitto, estremamente preoccupato che un attacco a Rafah spinga decine o centinaia di migliaia di palestinesi a cercare scampo nel suo territorio, sposa all’Aia l’iniziativa del SudAfrica perché la Corte di Giustizia internazionale sancisca che a Gaza è in atto un genocidio.
La scorsa settimana, con un voto più simbolico che decisivo, ma politicamente molto significativo, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite s’è espressa, con 143 sì, nove no e 25 astensioni, perché la Palestina venga riconosciuta membro a parte intera dell’organizzazione internazionale: non accadrà, perché la decisione tocca al Consiglio di Sicurezza, dove gli Stati Uniti hanno appena posto il veto a una decisione del genere, ma l’ampiezza dei consensi dà la misura dell’isolamento d’Israele.
Il che dà modo a Paesi arabi e Mondo musulmano di issare il gran pavese della vittoria diplomatica. Israele reagisce con rabbia: il suo rappresentante ‘shredda’ sul palco dell’Assemblea la carta dell’Onu: “oggi, l’avete stracciata”, dice ai suoi colleghi. L’Iran commenta: “Israele non è mai stato così isolato nella sua intera storia … e anche gli Stati Uniti sono sempre più isolati … nel loro cieco sostegno al regime israeliano e al suo brutale attacco contro Gaza”.
I 143 sì rappresentavano oltre i quattro quinti della popolazione mondiale. A votare contro, con Usa e Israele, sono stati soltanto Argentina, Ungheria, Rep. Ceca, Micronesia, Nauru, Palau e Papua Nuova Guinea. Con una decisione che ha suscitato qualche malumore, l’Italia si è astenuta, insieme, in ordine alfabetico, ad Albania, Austria, Bulgaria, Canada, Croazia, Fiji, Finlandia, Georgia, Germania, Isole Marshall, Lettonia, Lituania, Macedonia del Nord, Malawi, Moldavia, Olanda, Paraguay, principato di Monaco, Regno Unito, Romania, Ucraina, Svezia, Svizzera, Vanuatu.
L’Unione europea, come spesso capita in queste circostanze, s’è polverizzata: due contro, 11 astenuti, 14 a favore, fra cui Francia, Spagna, Polonia e Grecia. La sintesi sui media è questa: “Netanyahu va verso l’escalation, Biden blocca l’invio di armi, l’Ue sta a guardare”.
Sul fronte umanitario, la buona notizia è che la costruzione del pontile d’attracco fluttuante, lungo le coste della Striscia di Gaza, per migliorare l’afflusso degli aiuti umanitari, è finalmente cominciata, due mesi dopo che il presidente Biden l’aveva pre-annunciata nel discorso sullo stato dell’Unione il 7 marzo.
Una nave statunitense ha lasciato Cipro diretta a Gaza con a bordo tutta la strumentazione necessaria per avviare la costruzione e un carico di aiuti umanitari, viveri, medicinali, carburante. Purtroppo, la partenza è avvenuta nel momento in cui Israele di fatto chiudeva il valido di Rafah ed il flusso degli aiuti a Gaza subiva un drammatico rallentamento.