Esteri

Guerre: Medio Oriente, allarme Libano; Ucraina, alta tensione Russia – Usa

24
Giugno 2024
Di Giampiero Gramaglia

Guerre, punto – Il segretario generale dell’Onu Antonio Guterres esprime forte preoccupazione che “il Libano diventi un’altra Gaza”: “La regione e il Mondo non possono permetterselo. Il rischio che il conflitto in Medio Oriente si allarghi è reale e va evitato”, dice parlando ai giornalisti al Palazzo di Vetro di New York, mentre da Israele e dalla Striscia di Gaza continuano ad arrivare intrecci d’informazioni angoscianti e allarmanti, ma anche contraddittorie, politiche, militari, umanitarie sulle guerre che potrebbero continuare a scaturirne.

Sul fronte ucraino, la routine di combattimenti e bombardamenti ha avuto ieri una brusca impennata con l’attacco ucraino sulla Crimea, tradottosi in una strage di civili su una spiaggia di Sebastopoli, e quelli russi su Kharkiv; e le azioni terroristiche di matrice ancora incerta nel Daghestan dirette contro due chiese ortodosse, una sinagoga e un posto di polizia – vittime a decine, almeno 15 agenti e numerosi civili, oltre ai terroristi neutralizzati -.

Guerre: Medio Oriente, i rischi di contagio
La messa in guardia agli Hezbollah che una guerra a tutto campo è possibile viene da Israele, dopo che la milizia filo-iraniana ha pubblicato un video di 9’, probabilmente preso con droni, che mostra installazioni militari e civili israeliane in diverse città. Il video, che suona implicita minaccia, segue quasi nove mesi di reciproche scaramucce sul confine israelo-libanese, con lanci di razzi verso Israele e raid sulle postazioni degli hezbollah, costante contrappunto in tono minore della guerra nella Striscia.

Gli Stati Uniti e i loro alleati hanno costantemente invitato Hezbollah a non innescare un’escalation. Hezbollah ha sempre risposto che cesserà le punture di spillo, spesso letali, contro Israele quando cesserà il conflitto a Gaza. Finora, i miliziani non hanno mai dato l’impressione di volere arrivare allo scontro aperto, che gli israeliani non escludono nei loro calcoli strategici – basti ricordare l’attacco contro una rappresentanza diplomatica iraniana a Beirut e le tensioni conseguenti -.

Sulle guerre, la diplomazia multilaterale quasi s’astiene, forse conscia di non cavarne un ragno dal buco. Lascia fare in sordina a Usa, Egitto e Qatar. Il livello dei rapporti tra Israele e Usa continua a deteriorarsi: il premier israeliano Benjamin Netanyahu denuncia l’inadeguatezza dell’aiuto militare americano, costringendo l’Amministrazione Biden a repliche scivolose sul piano elettorale (“Non abbiamo mai fatto mancare l’aiuto alla sicurezza di Israele”). Netanyahu è “in guerra praticamente con tutti”, scrive sul Washington Post Ishaan Tharoor, dentro e fuori il suo Paese.

Guerre: Medio Oriente, frizioni in Israele tra politici e militarie sviluppi sul terreno
Il premier ha sciolto il gabinetto di guerra, dopo che un leader dell’opposizione, Benny Gantz, se n’era dimesso: così, Netanyahu ‘dribbla’ la richiesta di entrarvi di esponenti dell’estrema-destra della sua maggioranza. Quasi contemporaneamente, i militari annunciano “pause tattiche” di 11 ore al giorno dell’attività bellica lungo una strada a sud della Striscia di Gaza, per consentire l’ingresso e la distribuzione degli aiuti umanitari.

Le reazioni politiche agli annunci militari lasciano intravvedere una certa cacofonia: la mossa pare cogliere di sorpresa e irritare il governo. I generali puntualizzano che ciò non significa la fine dell’offensiva a Rafah, che s’avvicina comunque alla conclusione, avendo raggiunto i suoi obiettivi: la distruzione delle infrastrutture di Hamas e il taglio dei rifornimenti di armi e munizioni che arrivavano dall’Egitto attraverso i tunnel.

Il conflitto starebbe, quindi, evolvendo verso una fase meno intensa e cruenta di bombardamenti e combattimenti. La transizione a operazioni militari più mirate darebbe respiro ai civili, da quasi nove mesi costretti a vivere sulla linea del fuoco e in condizioni “indicibili”, secondo agenzie dell’Onu e organizzazioni umanitarie.

Ma le cronache registrano ancora lutti e orrori: nelle ultime 48 ore, fanno discutere attacchi contro campi profughi e un convoglio della Croce Rossa. Le forze armate israeliane avevano già negato d’avere colpito un’area sicura nel sud della Striscia, in località Al-Maeasiu dove s’addensano oltre mezzo milione di palestinesi spinti dagli stessi israeliani a concentrarsi in zone umanitarie che dovrebbero essere esenti da attacchi. Sempre nel sud della Striscia, Israele aveva perso otto soldati in una singola operazione: è stato l’attacco più letale da mesi condotto dai miliziani di Hamas.

La notizia aveva riacceso, in Israele, le richieste di un cessate-il-fuoco e le proteste per l’esenzione degli ebrei ultra-ortodossi dal servizio militare. La guerra, innescata dai raid terroristici di Hamas e altre sigle in territorio israeliano il 7 ottobre – 1200 le vittime –, ha fatto oltre 37.500 vittime a Gaza (soprattutto donne e bambini) e provoca focolai di tensione cruenti in CisGiordania e – come detto – al confine tra Libano e Israele. Resta il nodo degli ostaggi trattenuti a Gaza, non è chiaro da chi e dove: sarebbero ancora 120, ma si ignora quanti di essi siano ancora vivi.

Le trattative per una tregua duratura in cambio del rilascio di tutti gli ostaggi proseguono sotto traccia, dopo che Hamas ha posto alcune condizioni al sì alle proposte israeliane. Gli Stati Uniti continuano ad avvicendare la loro presenza diplomatica nella Regione, senza però risultati tangibili.

Guerre, Ucraina: alleanza Russia–Corea del Nord, Occidente in attesa di Francia e Gran Bretagna
L’attacco ucraino in Crimea – cinque missili, quattro intercettati, uno ‘deviato’ con ricadute letali – viene attribuito da Mosca a sistemi a lunga gittata forniti da Washington a Kiev e alimenta tensioni russo-americane, in una fase in cui la diplomazia occidentale pesta nel mortaio di formule trite e sterili, mentre al fronte nulla accade, a parte il consueto stillicidio di morti (anche civili) ammazzati nei combattimenti in prima linea e sotto i bombardamenti nelle retrovie.

Stati Uniti e Paesi europei paiono attendere di analizzare la situazione delle guerre in corso al Vertice della Nato a luglio a Washington, dopo i voti politici in Francia e in Gran Bretagna. Intanto, sono stati sciolte le ultime riserve(ungheresi e romene)  su chi succederà a norvegese Jens Stoltenberg a segretario generale dell’Alleanza atlantica: toccherà all’olandese Mark Rutte, liberale, premier uscente del suo Paese. La nomina, formalizzata dai leader della Nato a Washington, sarà operativa dal 2 ottobre.

Intanto, la Russia consolida i suoi legami con Paesi alternativi allo schieramento occidentale e ottiene, almeno in parte, ciò di cui ha bisogno – specie munizioni -, a dispetto di un’ulteriore raffica di sanzioni Usa e Ue (il 14° pacchetto europeo colpisce, per la prima volta, l’import di gas russo).

Il presidente russo Vladimir Putin va in Corea del Nord e restituisce la visita fattagli lo scorso anno dal dittatore nord-coreano Kim Jong-un: obiettivo, una accresciuta cooperazione, quasi un’alleanza, per contrare l’effetto delle sanzioni che colpiscono entrambi i Paesi nel confronto inasprito con Usa e Occidente. E la marina di Mosca fa vedere la bandiera nei Caraibi con una visita a Cuba che evoca la crisi dei missili dell’ottobre del 1962, che portò Usa e Urss sull’orlo dell’olocausto nucleare.

Al termine della visita, Kim esprime “pieno sostegno” a Putin e i due firmano un ampio accordo, che prevede reciproca immediata assistenza militare in caso di guerra. La visita a Pyongyang è la prima per Putin da quando è al potere ed è anche la prima di un leader straniero in Corea del Nord dallo scoppio della pandemia. Se la lamentela occidentale che Putin e Kim violano reciprocamente le sanzioni imposte ai loro Paesi è quasi patetica, la preoccupazione nella Regione è concreta, specie da parte della Corea del Sud.

Un segnale che i rapporti tra Usa e Russia non migliorano è la notizia che il giornalista del WSJ Evan Gershkovich, arrestato con l’accusa di essere una spia della Cia e detenuto da oltre un anno, verrà processato. Gershkovich, che respinge tutte le accuse, andrà a giudizio a Ekaterinburg, l’esclave russa sul Baltico tra Polonia e Lituania. In passato s’era ipotizzato un possibile scambio, che avrebbe potuto coinvolgere Alexei Navalny, il leader dell’opposizione poi deceduto in carcere, o Vadim Krasikov, una spia russa condannata e incarcerata in Germania per omicidio.

Anche Kiev si lamenta con Washington: le restrizioni poste all’uso di armi Usa sul territorio russo impediscono – dicono i generali ucraini – di colpire le basi russe da cui partono gli attacchi contro l’Ucraina; e i russi ne approfittano per accelerare i progressi sul terreno, continuando a occupare porzioni di territorio.

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