Esteri
Guerre: Israele ‘strikes back’, la regione s’infiamma; Ucraina, venti di negoziato
Di Giampiero Gramaglia
Nel giro di 12 ore, tra martedì e mercoledì, viene assassinato a Teheran, in circostanze al momento oscure, il capo politico di Hamas Ismail Haniyeh; viene ammazzato a Beirut, in un raid israeliano, un comandante di Hezbollah, Fuad Shukr; viene attaccata in Iraq la base d’una milizia filo-iraniana (tre i morti): azioni non tutte rivendicate, ma tutte ascrivibili, di primo acchito, a Israele, che avallano le parole del ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant, “Non c’è posto dove non possiamo colpire”.
Hamas e Hezbollah minacciano ritorsioni, le uccisioni di Haniyeh e Shukr “non resteranno impunite”.
L’ombra tragica d’un allargamento del conflitto mediorientale s’allunga sull’estate.
Gli eventi segnano l’ennesimo brusco innalzamento della tensione nella Regione, già infiammata, tra sabato e domenica, dall’attacco israeliano su una scuola per bambine che alloggiava rifugiati a Deir al-Balah, nella Striscia di Gaza – una trentina le vittime – e dal ‘massacro del campo di calcio’ di domenica: 12 ragazzini drusi, bambini e teenagers, che giocavano a calcio a Majdal Shams, villaggio sulle colline del Golan occupate da Israele da quasi 60 anni, perdono la vita quando un razzo s’abbatte su di loro.
Hezbollah nega ogni responsabilità, ma la matrice dell’ordigno, iraniana, e la provenienza lasciano pochi dubbi: è l’episodio più grave nel Nord d’Israele, dall’inizio delle ostilità.
Il raid contro Shukr, che fa, secondo fonti libanesi, altre tre vittime, una donna e due bambini, e decine di feriti, è una risposta al ‘massacro del campo di calcio di domenica’ – secondo Israele, Shukr era un responsabile della strage -.
Israele aveva avvertito che avrebbe reagito e lo fa prima compiendo incursioni letali in territorio libanese su postazioni hezbollah e poi colpendo a Beirut.
Il dramma di Majdal Shams aveva ulteriormente inasprito i rapporti tra Hezbolla e Israele e rialzato la tensione al confine tra Libano e Israele, dove gli incidenti – scaramucce spesso mortali, con lanci di razzi e risposte – si sono succeduti con frequenza quasi quotidiana dallo scoppio del conflitto nella Striscia di Gaza.
L’eliminazione di Haniyeh, invece, è una conseguenza delle incursioni terroristiche di Hamas e altre sigle palestinesi in territorio israeliano il 7 ottobre: fecero circa 1200 vittime e portarono alla cattura di quasi 300 ostaggi, un centinaio dei quali non sono ancora stati restituiti alle loro famiglie (parte di essi sono probabilmente morti), prologo del conflitto nella Striscia di Gaza, che ad oggi ha fatto oltre 40 mila vittime.
Fonti palestinesi riferiscono del ritrovamento a Khan Younis, seconda città della Striscia, di 300 corpi, vittime dei combattimenti negli ultimi giorni.
L’uccisione di Haniyeh, cui Israele faceva risalire la responsabilità politica di quanto accaduto, è anche, per le sue circostanze, un colpo inferto al regime iraniano, incapace di proteggere ospiti e alleati sul proprio territorio, nella propria capitale.
Il capo politico di Hamas, da oltre un decennio alla guida dell’organizzazione terroristica, era a Teheran per la cerimonia d’insediamento del nuovo presidente iraniano, il moderato Massoud Pezeshkian.
La notizia dell’assassinio di Haniyeh è stata data da Hamas e confermata dai Guardiani della Rivoluzione iraniani.
Guerre: MO, punto di non ritorno?, esclalation boicotta negoziati
La somma degli episodi tra domenica e mercoledì può rappresentare un punto di non ritorno: scatenare una guerra aperta in Libano – Hezbollah, che è meglio armato di Hamas, ha già minacciato di entrare in Galilea – con effetto domino sull’intero Medio Oriente.
Il presidente turco Racep Tayyip Erdogan getta olio sul fuoco, facendo presagire un intervento militare turco.
Paiono parole fuori di senno: Israele non è uno stato fallito come la Libia e la Siria, dove l’esercito turco è sceso in campo negli anni scorsi; e il ministro degli Esteri israeliano Israel Katz replica: “Se ci provi farai la fine di Saddam Hussein”.
Contestualmente, un alto funzionario israeliano fa sapere alla Bloomberg che, dopo il raid su Beirut, “non c’è da aspettarsi nessuna ulteriore attività militare israeliana” in Libano.
Non è la prima volta in circa 300 giorni di conflitto che si prospetta il rischio di un allargamento, con l’Iran, nel Mar Rosso, con gli Huthi.
Ma, stavolta, il Libano si prepara al peggio e diversi Paesi, tra cui l’Italia, suggeriscono a loro cittadini di lasciare l’area.
A testimoniare l’impotenza dell’Onu, l’Unifil, la forza di interposizione che, con migliaia di uomini, presidia il confine tra Libano e Israele, assiste sa quanto accade senza mandato per intervenire: come i caschi blu a Sebrenica, complici imbelli di in massacro.
Ovviamente, il rialzo della tensione ostacola il successo dei negoziati a Roma tra le intelligence d’Israele e di Hamas, con la mediazione di Usa, Egitto e Qatar.
Anche questo, è un ‘déjà vu’: quando le trattative paiono avvicinarsi a un’intesa, qualcuno innesca un sussulto di tensione e le manda all’aria.
Un’osservazione fatta anche dalla premier italiana Giorgia Meloni, dopo colloqui a Pechino con il presidente cinese Xi Jinping.
I commenti internazionali sono di segno diverso: Cine a Russia deprecano il ‘terrorismo di Stato’ israeliano.
Dagli Stati Uniti, Kamala Harris, vice-presidente e candidata democratica a Usa 2024, dice: “Israele ha il diritto di difendersi e il sostengo inequivocabilmente il diritto di Israele a essere sicura e a tutelare la propria sicurezza da organizzazione terroristiche, qual è Hezbollah.
Ma, detto questo, dobbiamo ancora lavorare a una soluzione diplomatica per porre fine a questi attacchi, e continueremo a farlo”.
Un gruppo di dottori statunitensi, volontari negli ospedali di Gaza, scrivono alla Casa Bianca una lettera aperta, condividendo la loro esperienza e chiedendo una tregua subito.
In Israele, persiste una forte opposizione al premier Benjamin Netanyahu, dentro e fuori il governo di emergenza da lui presieduto.
Il premier, in visita a Majdal Shams, è stato vivamente contestato e indicato come il responsabile dell’accaduto.
E il ministro della Difesa Gallant chiede un’inchiesta per accertare se il responsabile della Sicurezza nazionale, e leader dell’ultradestra, Itamar Ben Gvir abbia ordinato alla polizia di non bloccare i rivoltosi che hanno dato l’assalto a due basi dell’esercito, dov’erano custoditi nove soldati accusati di abusi su detenuti palestinesi ritenuti vicini ad Hamas.
Netanyahu mette sullo stesso piano i suoi contestatori di destra e di sinistra e paragona l’assalto alle caserme con i blocchi stradali attuati per denunciare la gestione del conflitto e l’assenza di un accordo per il ritorno degli ostaggi.
Guerre: Ucraina, si tasta il terreno per trattative
Tutt’altro clima nell’altro conflitto che, da quasi 30 mesi, insanguina l’Europa, l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia.
Dalla linea del fronte, giungono notizie frammentarie e poco significative: c’è sentore di trattative, anche se non è chiaro su che basi, forse indotto dalle vicende di Usa 2024.
L’Ucraina prova a tirare dentro i negoziati la Cina. In colloqui avuti con l’omologo cinese Wang Yi, il ministro degli Esteri di Kiev Dmytro Kuleba dice che l’Ucraina sarebbe disponibile a negoziati, se Mosca “sarà pronta a farlo in buona fede”.
Ma, aggiunge, “non si vede per ora tale disponibilità da parte russa”.
Quasi a fargli eco, il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov afferma che la Russia “è totalmente aperta a un processo negoziale”, se “l’Ucraina lo è”.
Intanto, il New York Times ha scoperto il motivo della telefonata fatta, il 12 luglio, dal ministro della Difesa russo Andriy Belousov al capo del Pentagono Lloyd Austin: voleva avvisarlo, e pure chiedergli conto, di una “operazione segreta” che l’Ucraina stava preparando contro la Russia.
Secondo le informazioni in possesso del giornale, che Mosca non ha in alcun modo commentato, Belousov ha avvertito Austin di sapere che Kiev stava preparando un’azione anti-russa, chiedendogli se ci fosse dietro un nullaosta statunitense, che avrebbe potuto innescare un’escalation delle tensioni tra Mosca e Washington.
I funzionari del Pentagono furono sorpresi dalle affermazioni di Belousov, non essendo informati delle intenzioni di Kiev: “Qualsiasi cosa abbia rivelato Belousov … è stata presa sul serio, perché abbiamo contattato gli ucraini e abbiamo loro detto, in sostanza, ‘se state pensando di fare qualcosa del genere, non fatelo'”.
Il NYT spiega che, nonostante la dipendenza dell’Ucraina dagli Stati Uniti per il sostegno militare, di intelligence e diplomatico, gli ucraini “non sono sempre trasparenti” circa le loro operazioni militari, specie quelle dirette contro obiettivi russi dietro le linee nemiche.