Esteri

Guerre: il dibattito fra Harris e Trump non fa avanzare la pace in Ucraina e a Gaza

12
Settembre 2024
Di Giampiero Gramaglia

Il dibattito presidenziale fra Kamala Harris e Donald Trump, andato in onda sulla Abc, risulterà forse determinante per l’esito delle elezioni di Usa 2024 del 5 novembre, ma non avvicina la pace nei conflitti in Medio Oriente e Ucraina: sui due fronti, Harris e Trump hanno posizioni fortemente diverse e le hanno espresse in modo chiaro.

Sui conflitti, Trump, costretto da Harris sulla difensiva, insiste su due punti fermi: se lui fosse stato presidente, la Russia non avrebbe invaso l’Ucraina e Hamas non avrebbe compiuto i raid terroristici del 7 ottobre in territorio israeliano; e, se lui tornerà alla Casa Bianca, le guerre cesseranno. Come e perché, non si sa; e non lo sa neppure lui.

Harris lo accusa di andare a braccetto con i dittatori di mezzo mondo e dice che gli alleati degli Usa sono spaventati dalla prospettiva d’un suo ritorno. Trump cita a suo sostegno il premier ungherese Viktor Orban – e così, in fondo, dà ragione a Harris – e ripete che gli europei devono pagare quanto gli americani per la difesa dell’Ucraina. Di lui, dice con orgoglio, «Cina, Russia e Corea del Nord avevano paura: Adesso, invece, ci ridono dietro». «Ma se vi scrivevate lettere d’amore con Kim», ribatte Harris: «I dittatori non vedono l’ora che tu sia rieletto, perché ti potranno manipolare».

Il confronto non smuove né Vladimir Putin né Benjamin Netanyahu, che intende tornare in America per fare compagna per Trump, un suo sodale.

Nel dibattito, Harris dice che «la guerra a Gaza deve finire immediatamente», con il rilascio di tutti gli ostaggi e una tregua; e assicura che, come presidente, continuerà «ad aiutare Israele a difendersi dai terroristi e dall’Iran». Trump la accusa di «odiare Israele»: «Se diventerà presidente, nel giro di due anni Israele non esisterà più».

Le cronache dall’Ucraina e dalla Striscia di Gaza riducono a routine tragedie immani: riferiscono d’attacchi notturni con missili e droni sulle città ucraine; e di azioni letali dell’esercito israeliano, anche nei Territori. Il segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres dice che «morte e distruzione» nella Striscia sono quanto di peggio lui abbia mai visto; e ammette che è «irrealistico» pensare che l’Onu possa avere un ruolo nel futuro di Gaza, amministrandola o con i caschi blu, perché Israele non lo accetterebbe.

Sul fronte ucraino, il presidente ucraino Volodymyr Zelensky fa sapere di avere un piano di pace, che vuole presentare a tutti gli interlocutori americani, il presidente Joe Biden e i candidati Harris e Trump. Ma sa bene che nulla si sbloccherà prima del 5 novembre.

Guerre: Medio Oriente, Biden e Blinken non hanno né bastone né carota
Il presidente Usa Joe Biden e il segretario di Stato Antony Blinken moltiplicano sforzi e appelli, ma non hanno in mano né un bastone abbastanza nodoso né carote sufficientemente appetitose perché Israele o Hamas stiano ad ascoltarli. I protagonisti della crisi preferiscono acquisire titoli di merito o crediti con chi gestirà il potere negli Usa nei prossimi anni, piuttosto che con chi fra qualche mese sarà solo un pensionato eccellente.

I mediatori impegnati nei colloqui per una tregua tra Israele e Hamas vogliono comunque presentare una loro proposta in questi giorni: un piano che, secondo il quotidiano Haaretz, sarebbe «prendere o lasciare», ma che difficilmente piegherà le resistenze sia di Hamas che di Netanyahu. Biden accusa apertamente il premier di non fare abbastanza per la liberazione degli ostaggi catturati il 7 ottobre – ne restano un centinaio nelle mani di Hamas, oltre 60 dei quali sarebbero ancora vivi -.

Intanto, il conflitto prosegue, nella Striscia e pure nei Territori e con scaramucce a nord, al confine con il Libano, e incursioni in territorio siriano: il rischio di un allargamento della guerra non è affatto scongiurato e la risposta dell’Iran all’uccisione a Teheran del capo di Hamas Ismail Haniyeh a fine luglio deve ancora arrivare.

A inizio settimana, un raid israeliano in quella che era indicata come una zona sicura della Striscia per i civili palestinesi ha fatto decine di vittime: Israele dice di avere colpito un centro di comando di Hamas.

L’esercito israeliano ha lasciato Jenin, in Cisgiordania, dopo dieci giorni di operazioni militari sanguinose. Durante una protesta a Nablus, una attivista turca di 26 anni con passaporto americano è stata uccisa da un colpo di pistola: per i palestinesi, la responsabilità sarebbe di militari israeliani. Blinken ha chiesto con maggiore energia del solito che sull’episodio sia fatta piena luce.

Sempre nella zona di Nablus, una ragazzina palestinese di 13 anni è stata uccisa da coloni israeliani, le cui aggressioni restano impunite. Il ministro dell’ultra-destra religiosa Ben Gvir vuole includere la CisGiordania fra gli obiettivi della guerra scatenata dalle incursioni terroristiche del 7 ottobre.

Ma gli alleati di Israele, americani ed europei, hanno opinioni differenti. La ministra degli Esteri tedesca Annelore Baerbock, in visita a Gerusalemme, chiede «azioni più forti e più visibili contro gli atti violenti dei coloni radicali” in Cisgiordania».

In quello che appare un incidente, mercoledì mattina due soldati israeliani sono morti e quattro sono rimasti gravemente feriti nello schianto di un elicottero in fase di atterraggio nei pressi di Rafah, nel Sud della Striscia: era in corso un’operazione per evacuare un militare ferito. Il portavoce dell’esercito esclude che si sia trattato di fuoco nemico e parla di problema tecnico o errore umano.

Il trascinarsi del conflitto moltiplica le minacce e gli episodi terroristici in Europa e in America. A New York, l’Fbi sventa un complotto per un attacco contro un centro ebreo nella Grande Mela il 7 ottobre, nell’anniversario degli attentati che fecero circa 1.200 vittime israeliane. Un uomo residente in Canada è stato arrestato.

Guerre: Ucraina, Zelensky insiste per usare le armi della Nato in Russia
Impegnato in contatti diplomatici in Europa, il presidente Zelensky, che fa pure tappa in Italia, sostiene che l’incursione ucraina in territorio russo, nell’area di Kursk, «cambia le carte in tavola» nel conflitto e insiste per avere dagli alleati più armi e, soprattutto, l’autorizzazione ad utilizzarle contro obiettivi in Russia.

La politica occidentale di negare a Kiev la capacità di colpire la Russia con sistemi a lungo raggio è «sbagliata», dice Zelensky alla riunione del gruppo di contatto per la difesa dell’Ucraina in una base degli Usa in Germania, a Ramstein. «Voglio dirlo apertamente in modo che non ci siano equivoci. Grazie al nostro coraggio congiunto, abbiamo portato a termine operazioni molto importanti, specie in Crimea. Queste operazioni ci hanno permesso di ristabilire la sicurezza nel Mar Nero e riprendere le nostre esportazioni di prodotti alimentari».

Zelensky aggiunge: «Ora sentiamo che la vostra politica sulle armi a lungo raggio non è cambiata”, ma “noi abbiamo bisogno di questa capacità a lungo raggio non solo sul territorio occupato dell’Ucraina, ma anche su quello della Russia, per incentivarla a cercare la pace».

La questione resta, però, in sospeso, anche se Mosca sostiene che Washington abbia già deciso d’autorizzare Kiev a utilizzare i missili Atacms per colpire in profondità sul territorio russo. Lo sostiene il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov, secondo cui la risposta di Mosca sarà “appropriata”. Ad alimentare l’ipotesi la visita, ieri, a Kiev di Blinken e del ministro degli Esteri britannico David Lammy.

Il capo della diplomazia europea Josep Borrell è favorevole ad accontentare gli ucraini e chi gli succederà a novembre, l’ex premier estone Kaja Kallas, lo è più di lui; ma i distinguo fra i 27 sono numerosi e articolati; e la Germania stringe i cordoni della borsa degli aiuti all’Ucraina, citando vincoli di bilancio. Però, l’atteggiamento verso l’Ucraina sarà ridefinito, con conoscenza di causa migliore, solo dopo le elezioni negli Usa: su armi e aiuti, la parola di Washington è determinante.

In ogni caso, gli alleati mantengono l’impegno ad inviare armi e aiuti. Il Regno Unito spedirà altri 650 missili a corto raggio; la Germania consegnerà altri 12 obici semoventi Panzerhaubitze 2000; e il Canada spedirà forniture e contribuirà all’addestramento dei piloti ucraini sugli F-16.

Ma anche la Russia ha chi la foraggia. Secondo il WSJ, che cita fonti americane ed europee, l’Iran ha consegnato a Mosca missili balistici a corto raggio Fath-360 e un altro sistema missilistico balistico chiamato Ababil. La fornitura comprende circa 200 missili a corto raggio, con una gittata di circa 800 chilometri.

Stati Uniti e Paesi europei, in particolare Gran Bretagna, Francia e Germania, hanno subito minacciato sanzioni all’Iran e l’Ue ne sta valutando l’opportunità. Teheran ipotizza ritorsioni e denuncia «la continuazione della politica ostile dell’Occidente e del terrorismo economico contro il popolo iraniano».