Esteri

Guerre dopo Trump: Ucraina, mille e non più mille; MO, Netanyahu senza freni

20
Novembre 2024
Di Giampiero Gramaglia

Mille giorni di guerra in Ucraina, mille giorni di invasione russa. Mille e non più mille: la profezia dei Vangeli apocrifi sembra stavolta destinata a realizzarsi, perché l’elezione di Donald Trump, avvenuta il 5 novembre, ha già impresso un’accelerazione alle dinamiche internazionali, belliche e diplomatiche, anche se il magnate entrerà in carica solo il 20 gennaio.

Vale per l’Ucraina. E può valere pure per il Medio Oriente. Una tregua, almeno sul fronte libanese, pare più vicina che mai, mentre a Gaza non v’è segnale di cessazione delle ostilità: gli israeliani fanno ogni giorno, con i loro attacchi, decine di vittime palestinesi.

Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky è conscio che il conflitto, con Trump alla Casa Bianca, potrebbe durare ancora poco e cerca di migliorare le posizioni sul terreno, in vista di un negoziato, con gli aiuti senza precedenti che sta ricevendo dall’Amministrazione Biden. Il premier israeliano Benjamin Netanyahu vuole, invece, compiacere Trump e punta a completare le operazioni a Gaza per l’insediamento, contribuendo alla mitologia dell’uomo che non fa le guerre, ma le fa finire.

La decisione del presidente Usa in esercizio Joe Biden di consentire all’Ucraina di impiegare missili a lunga gittata contro obiettivi russi in territorio russo è piombata sulla fase di transizione dei poteri negli Stati Uniti e ha già innescato reazioni russe.

L’iniziativa di Biden, presa a poco più di due mesi dalla fine del suo mandato, in aperto contrasto con la visione sull’Ucraina espressa dal suo successore, autorizza per la prima volta Kiev a usare sistemi missilistici noti come Atacms (Army Tactical Missile Systems) per colpire le forze russe nella regione di Kursk, dove da mesi gli ucraini occupano una porzione di territorio russo. Nell’area sono presenti, a sostegno delle forze russe, truppe nord-coreane, per aiutarle a recuperare centinaia di chilometri quadrati russi finiti sotto controllo ucraino.

Nella giornata di martedì, si è appreso che l’esercito ucraino ha già compiuto diversi attacchi – sei, secondo fonti di stampa concordi – con missili Atacms contro bersagli russi in territorio russo, specie nell’area di Bryansk.

Fonti militari Usa citate dalla Ap indicano che la disponibilità di Atacms è, tuttavia, limitata e che potrebbe risultare non sufficiente a «fare la differenza». Altre fonti, invece, sostengono che anche pochi attacchi in profondità sul territorio russo possono costringere le truppe russe a riposizionarsi; e c’è chi ritiene che i russi, in realtà, abbiano già messo fuori tiro il grosso di uomini e mezzi, depositi e postazioni.

Biden ha pure approvato la cessione all’Ucraina di mine anti-uomo, modificando una scelta fatta nel 2022 e suscitando critiche da chi si batte per il controllo degli armamenti: missili e mine sono due componenti dello sforzo in atto, probabilmente tardivo, per rinvigorire le capacità di difesa dell’Ucraina, recentemente affievolitesi.

Per mesi, il presidente Zelensky e molti leader occidentali avevano sollecitato Biden a concedere l’autorizzazione all’uso degli Atacms, sostenendo che altrimenti l’Ucraina non avrebbe potuto fermare gli attacchi notturni sulle sue città e sulle infrastrutture energetiche e industriali, che si sono fatti più intensi e più insistenti nelle ultime settimane. C’è la sensazione che Mosca abbia intenzione di devastare le capacità ucraine di produzione di energia elettrica, in vista dell’inverno, per piegare, forse definitivamente, la volontà di resistenza del popolo ucraino.

In una sola notte, a inizio settimana, le forze russe hanno lanciato oltre 200 missili e droni, un po’ ovunque sull’Ucraina: molti sono stati intercettati, altri sono andati a segno, causando vittime e devastazioni.

Guerre dopo Trump: Ucraina, il contesto internazionale
Nei giorni scorsi, a margine dei vertici dell’Apec in Perù e del G20 in Brasile, Biden ha avuto contatti diretti con diversi leader, fra cui quelli cinese, giapponese e sud-coreano, con cui ha specialmente parlato del coinvolgimento delle truppe nord-coreane nel conflitto russo-ucraino.

La successione di Vertici, compreso un G7 riunito dalla presidenza di turno italiana, dopo l’ok di Biden sui missili, ha evidenziato la crisi della diplomazia multilaterale, incapace d’incidere sugli eventi e anche solo di formulare comunicati condivisi – crisi che trova eco nelle trattative sul clima in corso in Azerbaigian -.

Mosca, che aveva più volte avvertito in passato che una decisione del genere sui missili non sarebbe rimasta senza reazione, ha formalizzato la revisione della sua dottrina nucleare, che adesso prevede il ricorso all’atomica anche in caso di attacco convenzionale al territorio russo da parte di un Paese non nucleare, purché spalleggiato da una potenza nucleare, se la sicurezza nazionale è a rischio.

Forse, Putin non intende avvalersi di questa possibilità, almeno non prima di capire se il cambio della guardia alla Casa Bianca cambierà davvero le prospettive del conflitto, ma ha comunque in mano una carta in più. Va per completezza d’informazione ricordato che la Nato non ha mai rinunciato all’opzione del ‘first strike’, cioè di ricorrere per prima al nucleare, in considerazione dell’inferiorità delle sue forze convenzionali in Europa rispetto a quelle russe.

Però, proprio l’Europa, in tutto questo fermento, resta ai margini. L’elezione di Trump “ha sbloccato uno stallo”, scrive Stefano Feltri sui suoi Appunti; e non è detto che sia “una cattiva notizia”. Ma bisogna capire “che fine farà l’Ucraina”. Secondo Politico, le decisioni di Biden su missili e mine “mettono nell’angolo” il cancelliere tedesco Olaf Scholz, che aveva appena azzardato una telefonata di riapertura del dialogo a Putin. Il presidente francese Emmanuel Macron sollecita il presidente russo a essere “ragionevole” sul nucleare. Il Parlamento europeo, nel giorno mille da inizio invasione, martedì 19, accoglie con un’ovazione l’intervento in video di Zelensky alla plenaria di Strasburgo: è un omaggio a quelli che la presidente dell’Assemblea Roberta Metsola presenta come “i mille giorni di resilienza del popolo ucraino”. Zelensky dice: “Dobbiamo porre fine alla guerra in modo equo e giusto”. Parole che tutti sottoscrivono, dando però loro significati diversi.

La percezione è quella di un momento di caos e di incertezza; e, quindi, di instabilità e di pericolo. Un probabile sabotaggio nel Mar Baltico suscita allarme a Berlino e a Helsinki: evoca il sabotaggio al NordSteam del settembre 2022, attribuito ai russi e, invece, opera degli ucraini. E lavori del G20 sono turbati da un piano sventato per uccidere il presidente brasiliano Luiz Inacio Lula da Silva: segno che le pulsioni eversive rimaste dopo la sconfitta elettorale di Jair Messias Bolsonaro persistono nel Paese e hanno magari trovato nuova linfa nella vittoria di Trump il 5 novembre.

Guerre dopo Trump: MO, per Israele ‘war as usual’
Nel pendolo dei media sulle guerre, l’Ucraina, negli ultimi giorni, ha di nuovo sopravanzato Israele e quanto avviene nel Sud del Libano e nella Striscia di Gaza, dopo che, per oltre un anno, gli eventi in Medio Oriente hanno ricevuto maggiore attenzione e nonostante che lì ci siano ogni giorno decine di vittime civili, molte di più di quelle che si registrano in Ucraina.

Lo stillicidio di attacchi e stragi è quotidiano, così come lo sono le grida d’allarme per la situazione umanitaria drammatica a Gaza e per i rischi di escalation del conflitto. Gli Stati Uniti sfornano missioni diplomatiche a getto continuo, finora tutte infruttuose; Hezbollah continua a subire uccisioni di leader e comandanti; Hamas accuse perdite quotidiane; Netanyahu ammette che solo una metà dei 101 ostaggi sequestrati il 7 ottobre 2023 e mai restituiti alle famiglie sono ancora in vita.

Impotente, la diplomazia s’astiene dall’intervenire, missioni Usa kamikaze a parte, che dimostrano solo l’irrilevanza (accresciuta dopo il voto) dell’Amministrazione Biden. E i 27 dell’Ue bocciano l’ultima iniziativa del capo della diplomazia europea Josep Borrell, che, al passo d’addio, vorrebbe sospendere il dialogo politico con Israele, dando un segnale di dissenso per quanto avviene a Gaza. 

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