Esteri

Gonzalez contro Google, in Usa la causa che può cambiare il web

03
Marzo 2023
Di Giampiero Cinelli

Non è un periodo felice per le Big Tech. Negli Usa la scorsa settimana è partita una causa legale che può diventare uno spartiacque per gli equilibri del mondo digitale e della sua economia. Il contenzioso si intitola “Gonzalez vs Google” ed è tra la famiglia di Nohemi Gonzalez e il colosso californiano. La ragazza fu uccisa nel 2015 a Parigi da un attacco dell’Isis insieme ad altre 130 persone. I genitori sostengono che Youtube abbia fatto promozione, o più precisamente favoreggiato, il terrorismo veicolando agli utenti i video dei fondamentalisti islamici. Come riportano altre fonti, un’organizzazione no-profit israeliana chiese alla famiglia Gonzalez di adoperarsi per portare in giudizio YouTube, contestando appunto la promozione di propaganda terroristica. Alla Ong viene attribuito un supporto da parte del Mossad. Al di là di tali questioni investigative da chiarire meglio, il caso legale è importante perché solleva un tema caldo: la responsabilità editoriale delle piattaforme.

Sul punto viene chiamata in causa la famosa Sezione 230, la legge americana sul web che dice: «Nessun fornitore e nessun utilizzatore di servizi Internet può essere considerato responsabile, come editore o autore, di una qualsiasi informazione fornita da terzi». Significa appunto che secondo questa logica le piattaforme non hanno alcun ruolo dal punto da vista di quello che si potrebbe definire impatto sull’opinione pubblica.

È davvero così? Generalmente lo si pensa perché si tende a considerare un giornale o qualsiasi media come qualcosa animato dall’intenzione umana. Mentre la rete sarebbe mossa solo dagli algoritmi. Algoritmi che, in fondo, secondo i legali dell’accusa, un’anima ce l’hanno anche loro. Dietro i meccanismi automatizzati, infatti, si celano a monte le scelte dei programmatori. Se questo poi equipari gli ingegneri a direttori responsabili di un organo mediatico, questo è oggetto di dibattimento e di complesse riflessioni. In passato le Sezione 230 ha avuto la esplicita e manifesta intenzione di lasciare spazio allo sviluppo di internet.

Attenzione però: la Sezione 230 non esonera le Big Tech dal moderare o rimuovere i contenuti, specie quelli che rientrano nelle definizioni di legge sull’oscenità, lo sfruttamento sessuale dei bambini, la prostituzione o il traffico sessuale, o per le leggi che tutelano la proprietà intellettuale e la riservatezza delle comunicazioni. Il punto è la difficoltà di moderare, considerata la mole di contenuti, rischiando di incappare spesso in errori. Inoltre la differenza tra moderazione e raccomandazione dei contenuti resta di intricata interpretazione. Se poi si vuole affrontare il caso specifico, si potrebbe osservare che i video dell’Isis hanno comunque valore giornalistico e restano pienamente nel solco del diritto di cronaca. Sebbene, da un altro punto di vista, la gerarchia algoritmica di Google (Youtube) non risponda a logiche giornalistiche bensì a quelle di un motore di ricerca. Non è necessario insomma che un video dei fondamentalisti islamici appaia sulla home page, dunque la decantata neutralità dell’algoritmo non esiste, secondo l’avvocato della famiglia Gonzalez.

L’argomento è di profondo interesse e fornisce spunti sociologici non più trascurabili in quest’epoca. Ad ogni modo sarà difficile che l’accusa possa avere la meglio sulla parte imputata, ma sta ugualmente a segnalare un clima che sta cambiando e un approccio diverso nei confronti dei magnati del web.

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