Esteri
Il G7 condanna Putin. Quali elementi fanno sperare in una trattativa
Di Giampiero Cinelli
La recente escalation in Ucraina, con il raid russo sui centri abitati, in risposta all’attacco al ponte verso la Crimea, ha fatto riacuire la tensione nei leader politici. Ieri è stato convocato infatti il G7, in videoconferenza, in cui sostanzialmente è emerso che le potenze occidentali continueranno a sostenere Kiev e a sanzionare Mosca. Zelensky ha detto ai sette capi di Stato che non è disposto a scendere a patti con Putin e il suo atteggiamento continua ad avere consensi. Gli Stati Uniti assicurano altri aiuti bellici. Tutto farebbe pensare che il conflitto andrà avanti verso un punto di non ritorno, rendendo maggiormente vivido il timore di uno scenario atomico. Eppure, la trama di questo dramma ha delle sfumature tenui ma sufficienti a sospendere il giudizio.
Perché una trattativa è ancora possibile, nonostante le apparenze
Non solo per le voci di corridoio secondo cui Usa e Russia stiano segretamente trattando, ma anche perché sono proprio le esitazioni, sia occidentali che eurasiatiche, a ridimensionare il quadro. Certo, il rischio di una escalation c’è. Certo, se Putin verrà messo alle strette, potrebbe decidere di giocare il tutto per tutto. Ad ogni modo, Joe Biden sta temporeggiando sulla consegna a Zelensky di missili a lunga gittata, da lui richiesti. Si chiamano Atacms (Army Tactical Missile System) con un potenziale di 300 chilometri. Ciò permetterebbe all’Ucraina di colpire direttamente nel territorio russo e gli Stati Uniti preferirebbero evitarlo per scongiurare una escalation del conflitto. Inoltre, questo particolare può essere centrale nell’analisi, nonostante al G7 il danneggiamento del Nord Stream 2 sia stato imputato alla Russia, di conseguenza non è seguita la valutazione di un attacco in area Nato, trattandosi di acque danesi. Fattispecie che esporrebbe a conseguenze terrificanti. A questo punto va considerato il ruolo del premier ucraino, spesso dipinto come eterodiretto, ma in buona percentuale decisionista in rapporto alle più efficaci controffensive. Si pensi, poi, all’omicidio di Daria Dugina, figlia del noto filosofo sostenitore di Putin. Ora si sa per certo che è stato organizzato dall’Ucraina e questo, a quanto sembra, ha non poco contrariato Biden, che non lo avrebbe avallato. Ed ecco quindi nuovamente il tema degli Stati Uniti come barometro del conflitto. Ogni tanto colti in contropiede dall’ardore di Kiev.
Dunque lo scontro è serrato. Ma ogni tanto si spinge sul freno. Anche da parte di Putin, che fino ad oggi non aveva considerato come prima opzione i raid nelle parti più occidentali dell’Ucraina, senza preoccuparsi delle conseguenze lì dove ancora la popolazione è densa. Ma anzi aveva prioritariamente colpito infrastrutture strategiche. Con il recente atto, invece, probabilmente ha voluto dimostrare che la Russia non è così a corto di mezzi come gli occidentali ripetono. Ma ha scelto fin ora di dosare l’offensiva. Dunque se sino ad oggi Mosca è rimasta impantanata nei territori occupati del Donbass, avendo come anelito prettamente la striscia che da Mariupol porta a Odessa, passando per la Crimea, è perché sono quelli i territori che gli interessano di più. Allora come mai ancora armi? Consentirebbero comunque di arrivare a un accordo sperando di aver determinato la situazione più desiderabile per la parte occidentale. L’atomica è un deterrente, ma del resto la deterrenza nucleare era usata anche dalla NATO in chiave anti-Urss. Niente di nuovo. E se Putin usasse anche solo quella che in questi giorni viene detta “arma nucleare tattica”, le dinamiche a catena sarebbero imprevedibili e le scorie radioattive investirebbero certamente anche la Russia. Il cosa fare se, è una questione che mette in apprensione anche le potenze vicine alla Russia. Erdogan infatti è tornato a chiedere una via diplomatica. La Cina rimane sempre guardinga. Soltanto la Bielorussia si è in questi giorni dichiarata pronta a combattere.
Ma si fa presto a dire pace
La pace resta una questione tra americani e russi. E proprio Biden e Putin hanno ultimamente dichiarato che sono disposti a considerare un colloquio faccia a faccia al prossimo G20 di novembre a Bali. Questo non vuol dire che ci sarà un vero trattato di pace. Ma un cessate il fuoco non è assurdo, come suggerisce il direttore di Limes Lucio Caracciolo, intervistato da Huffington Post. Le richieste del Cremlino le conosciamo: Crimea russa, riconoscimento dell’indipendenza di Luhansk e Donetsk, neutralità dell’Ucraina. Quelle euro-atlantiche non sono esplicite, a parte un costante ribadire la volontà di una piena vittoria sul campo. Se è così, si combatterà ancora per un tempo indefinito e la Russia non si tirerà indietro. Ma le società europee affronterebbero degli scenari del tutto inaspettati, anche solo dal punto di vista economico.