Esteri
G20: il Vertice di New Delhi conferma la crisi della governance mondiale
Di Giampiero Gramaglia
Il G20 scimmiotta i Brics, che si sono allargati e hanno aperto all’Africa – dentro, fra gli altri, Egitto ed Etiopia – e accoglie nel suo alveo l’Unione africana, con lo stesso statuto dell’Unione europea, come se le due organizzazioni fossero equivalenti per coesione, integrazione, struttura istituzionale. Sull’Ucraina, il Gruppo trova invece l’intesa, dopo lunghi negoziati diurni e notturni fra gli sherpa, sul testo di una dichiarazione ancora più sfumata di quella approvata in Indonesia un anno fa, che evita di condannare la Russia per l’invasione, ma invita tutti gli Stati ad astenersi dall’usare la forza per acquisire territori e a rispettare la Carta dell’Onu.
Una testimonianza d’impotenza e di divisione. Del resto, il G20, che adesso rappresenta i due terzi della popolazione e del commercio mondiali e oltre l’80% del Pil, non ha una storia d’efficienza e risultati: creato nel 1999 con vocazione economica, di fronte alla percepita inadeguatezza del G7, vivacchiò fin quando, tra il 2008 e il 2009, i presidenti Usa George W. Bush e Barack Obama non provarono ad affidargli la risposta alla gravissima crisi economico-finanziaria di quel momento: missione fallita e ritorno al piccolo cabotaggio, riunioni quasi senza impatto.
Per farsi un’idea se il G20 di New Delhi sia stato un successo e che tipo di successo, basta guardare alle reazioni da Mosca, soddisfatta, e da Kiev, infuriata. L’anno prossimo, se la guerra andrà avanti, non promette di andare meglio, visto che la presidenza di turno passerà dall’India al Brasile: altro Paese Brics e altro leader, Inacio Luiz Lula da Silva, poco incline a fare concessioni all’Occidente e impegnato nella ricerca di un nuovo ordine mondiale dove quello che una volta era il Terzo Mondo conti di più.
Domenica 1′ settembre, quando il premier indiano Narendra Modi ha chiuso il G20 di New Delhi ed ha passato il martelletto di legno del presidente delle riunioni a Lula, il presidente brasiliano ha subito annunciato che inviterà al Vertice di Rio de Janeiro il presidente russo Vladimir Putin, assicurandogli che nessuno lo arresterà in Brasile, nonostante il mandato d’arresto emesso a marzo dalla Corte penale internazionale per crimini di guerra contro l’umanità. Eppure il Brasile come l’India e il SudAfrica che ospitò ad agosto il Vertice dei Brics, riconosce la Corte dell’Aia.
Il ministro degli Esteri russo Serguiei Lavrov, che, assente Putin, guidava la delegazione russa, definisce il G20 un successo: “Siamo riusciti a sventare il tentativo dell’Occidente di ‘ucrainizzare’ l’agenda del vertice”, ha detto Lavrov a lavori conclusi – un risultato già conseguito a priori, quando Modi aveva deciso di non invitare il presidente ucraino Volodymyr Zelensky -.
Mykhailo Podolyak, capo consigliere del presidente ucraino, polemizza su Twitter con Lula: “Perché sentire il bisogno di regole se le si vuole infrangerle in nome di uno scandaloso populismo? Il presidente brasiliano è l’autore di una neo/realpolitik: rompere tutto quello che si può. Oppure lunga vita al caos per il bene degli assassini russi!”.
Mentre i leader erano riuniti, Mosca – quasi una provocazione – ha organizzato nei territori occupati elezioni amministrative (non riconosciute dalla comunità internazionale). Ma il presidente turco Recep Tayyip Erdogan, unico mediatore fra Russia e Ucraina che abbia finora ottenuto risultati, invita “a non emarginare Mosca sul grano”: Erdogan spera ancora di ravvivare la ‘pace dei cereali’ durata un anno e denunciata dai russi a luglio.
Aprendo in prospettiva un altro contenzioso, non solo con l’Occidente, ma con i Grandi del Mondo di tutte le tendenze, Lula inoltre osserva che il Consiglio di Sicurezza dell’Onu ha bisogno di Paesi in via di sviluppo tra i suoi membri permanenti e non permanenti per ritrovare una forza politica: “Viviamo in un mondo dove la ricchezza è sempre più concentrata, dove milioni di esseri umani soffrono la fame, dove lo sviluppo sostenibile è minacciato, dove le istituzioni internazionali riflettono ancora la realtà della metà del secolo scorso”.
L’Ucraina, ma non solo, fra i punti deboli del G20. Per il presidente francese Emmanuel Macron sono ‘insufficienti’ le conclusioni sul clima: “Dobbiamo tutti eliminare gradualmente il carbone, molto più rapidamente di quanto facciamo oggi”, ha detto il capo dell’Eliseo.
Il Vertice è stato, come sempre, l’occasione di un intreccio di contatti bilaterali, fra cui, per l’Italia, rilevante quello della premier Giorgia Meloni con il premier cinese Li Qiang, che ha anche incontrato il presidente del Consiglio europeo Charles Michel, in vista di un Vertice Ue – Cina. Meloni cammina sul filo di mantenere buone relazioni economiche e commerciali con Pechino, senza però rinnovare l’accordo esistente sulla Nuova Via della Seta.
Al di là dei toni trionfalistici – scontati – del Paese organizzatore e positivi di molti dei protagonisti, il G20 indiano conferma l’inefficienza delle attuali Istituzioni della governance mondiale, a partire dal Consiglio di Sicurezza dell’Onu fino al binomio teoricamente complementare G7 / G20, passando per i vari organismi regionali, quale che ne sia la vocazione, l’Ue, la Nato, i Brics, la Sco (l’Organizzazione per la cooperazione di Shanghai).
Il tema dell’invasione dell’Ucraina è molto divisivo nel gruppo delle principali economie sviluppate ed emergenti. Ma se è comprensibile che su questo punto il G20 si sia – calcisticamente parlando – “rifugiato in corner”, non è neppure giunto a decisioni operative sui temi a lui peculiari, l’economia e lo sviluppo, e neppure sulla cooperazione contro il riscaldamento globale.
L’assenza di Putin non è stata sorprendente – dopo l’inizio del conflitto i Ucraina, il leader russo è stato raramente presente gli appuntamenti internazionali -. Quella del presidente cinese Xi Jinping è, invece, più difficile da spiegare – Xi non aveva mai mancato un G20 da quando è al potere -: se fosse una mossa in funzione anti-indiana, sarebbe in contrasto con l’intesa fra i giganti demografici del nostro Pianeta emersa nel contesto dei Brics; forse, nasce dall’imbarazzo d’un possibile incontro con il presidente Usa Biden, che dall’India ha raggiunto il Vietnam, ultimo tassello del suo disegno di ‘accerchiamento’ della Cina nel Pacifico.
A dispetto della delusione di Kiev, la premier italiana Giorgia Meloni difende la validità del testo sull’Ucraina approvato. “All’inizio del Vertice qualcuno temeva e qualcuno sperava che non si raggiungesse una conclusione. L’essere arrivati a una dichiarazione comune significa che sono stati fatti passi avanti significativi”, in quanto “la dichiarazione fa esplicito riferimento alle risoluzioni dell’Onu di condanna dell’aggressione all’Ucraina da parte della Russia”. Mosca avrebbe sottoscritto le conclusioni “per evitare l’isolamento”: “Tutti gli altri erano su una posizione diversa. Quindi, … considero ottima la conclusione di questo G20. Non vedo passi indietro, rispetto allo scorso anno, quando già le conclusioni del G20 furono considerate un piccolo miracolo diplomatico…”.
Guardando al futuro, Lula indica le priorità della presidenza brasiliana basate su tre punti principali: “l’inclusione sociale e la lotta contro la fame”; “la transizione energetica e lo sviluppo sostenibile”; e “la riforma della governance del sistema delle istituzioni globali”. Tre priorità incluse “nel motto della presidenza brasiliana, ‘Costruire un mondo giusto e un pianeta sostenibile'”.
Un programma complesso e ambizioso, su cui pesano le incognite del conflitto in Ucraina – dovesse trascinarsi per un altro anno -, dell’impegno della Cina nel G20 e delle fibrillazioni degli Usa nell’anno delle elezioni.