Esteri

Francia: il day after elettorale tra reazioni, ipotesi e strategie

09
Luglio 2024
Di Gianluca Lambiase

Il day after delle elezioni in Francia è un mix di stupore, analisi, letture, reazioni, opinioni, ipotesi, interviste, commenti e strategie. Notizie poche, pochissime. Non arrivano ancora indicazioni concrete su come o quale potrà essere il prossimo governo francese o che tipo di coalizione si formerà nell’assemblea nazionale.

La corsa per Palazzo Matignon è tutt’altro che conclusa e, anzi, probabilmente è soltanto all’inizio. Dall’affluenza più alta da quasi trent’anni a un responso elettorale totalmente inatteso con la vittoria del Fronte Popolare, tra sconfitti che hanno comunque ottenuto il risultato migliore di sempre (RN) e risultati  sorprendenti arrivati dai territori d’oltremare francesi.

L’incertezza
Il Presidente della Repubblica francese Emmanuel Macron ieri ha rifiutato le dimissioni di Gabriel Attal. Il primo ministro, che proprio oggi festeggia i primi sei mesi da premier, è passato in poche ore dalla paura della vittoria del Rassemblement National a un nuovo contesto che per il momento lo lascia alla guida del governo. Per quanto tempo?

La costituzione francese non prevede termini precisi per la nomina del nuovo primo ministro. Storicamente però è un atto che si verifica in tempi brevi, anche nei casi di coabitazione e maggioranza relativa.

Ma questa è una situazione di incertezza completamente inedita. Il tripolarismo così com’è emerso dalle urne tra sinistra, macronisti ed estrema destra, rende di fatto al momento il paese ingovernabile.

Le reazioni
All’Eliseo Macron ha chiesto ad Attal di restare “per assicurare la stabilità del Paese”. C’è da tenere conto di un groviglio elettorale tutt’altro che semplice da sciogliere ma anche di una vetrina olimpica alle porte da tutelare e non danneggiare.

Ma la preoccupazione del Presidente francese in questo momento è quella di garantire il regolare svolgimento degli affari correnti in un momento storico così delicato, ma anche prendersi del tempo.

Tempo utile per far sedimentare e osservare l’evolversi delle dinamiche nei partiti, con l’auspicio di un rimescolamento di forze che possa tornare utile alla sua colazione Ensemble!.

La France Insoumise di Mélenchon nel frattempo non ci sta. La capolista alle europee Manon Aubry, auspicando la nomina di un primo ministro del NFP, ha attaccato Macron: “Resto meravigliata della presenza di Attal ancora a Matignon, forse non hanno capito bene quello che è successo domenica sera. Allungare i tempi è soltanto una forzatura democratica”.

Ma anche da queste parti, in modo discreto e silenzioso, si prova a riflettere. Lo fa ad esempio il leader della sinistra moderata Raphael Glucksmann, che come Macron e Attal spera in rimescolamento di forze all’interno del partito.

Nel giorno in cui Orban ha varato il suo gruppo nel Parlamento europeo, The Patriots for Europe, il clima in Francia resta tutt’altro che sereno anche a destra.

Il Rassemblement National deve fare i conti con l’enorme delusione e gli attacchi al partito di Jordan Bardella.

Gilles Pennelle, stretto collaboratore di Marine Le Pen, ha rassegnato le dimissioni: aveva il compito di individuare 577 impeccabili candidati che si sono invece rivelati impresentabili, tra frasi razziste e commenti antisemiti.

Momento di riflessione anche nella destra gollista dei Républicains che ha ottenuto comunque un discreto risultato. Bruno Retailleau, presidente del gruppo Les Républicains al Senato è stato chiaro: “Qui è tutto da rifare, il marchio Le Républicains è morto, bisogna ricostruire un grande partito di destra”.

Ma l’idea di grande tensione presente in Francia in questo momento l’ha data al quotidiano La Stampa questa mattina il filosofo anti globalizzazione Michel Onfray: “Rischiamo di avere un regime all’Eliseo. Macron vuole riunire forze incompatibili governando a forza di decreti ma la rivolta contro le élite non si placherà”.

Le ipotesi
Di certo Macron non potrà non prendere atto di quanto avvenuto domenica sera e ora è chiamato a fare un passo indietro e rinunciare a qualcosa. Matignon è sicuramente la più determinante. Il più desideroso di prendere possesso della residenza del primo ministro francese è proprio Mélenchon, giudicato però troppo divisivo e inaccettabile anche dai suoi stessi alleati, Glucksmann su tutti.

Il segretario socialista Olivier Faure ha dichiarato che sono in corso dialoghi tra i quattro partiti di coalizione per trovare il nome giusto da sottoporre a Macron.

La leader ecologista Marine Tondelier ha attacco proprio Macron che a suo avviso avrebbe dovuto chiedere subito al Nfp, vincitore delle elezioni, di indicare un nome.

Ma è la stessa Tondelier a rappresentare uno dei nomi maggiormente spendibili al momento. Altri nomi sono quelli di Manuel Bompard, protagonista di ottime performance nei dibattiti tv elettorali, o di Clémentine Autain, che si è recentemente allontanato dal partito in contrasto con Mélenchon.

Per il momento Macron si tiene vigile: osserva, lascia fare e spera che le profonde differenze politiche che stanno emergendo possano portare ad uno sfaldamento del NFP.

A quel punto non è detto che l’incarico di primo ministro debba spettare necessariamente alla sinistra, che da sola non può comunque governare, ma aprirebbe le porte ad una coalizione che guiderebbe volentieri l’ex premier Édouard Philippe, reduce dagli anni più difficili della storia recente francese (gilet gialli, covid, riforme pensionistiche contestate) ma che potrebbe ritrovarsi con un potere maggiore.

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