Esteri
Musk vuole delocalizzare in Texas. Ombre sulla Silicon Valley
Di Giampiero Cinelli
«L’ultima goccia. A causa di questa legge e di altre che l’hanno preceduta, SpaceX trasferirà la sua sede da Hawthorne in California e Starbase in Texas», ha detto Elon Musk in questi giorni. Il magnate si riferisce a una legge emanata dal governatore della California Gavin Newsom secondo cui allo staff delle scuole è vietato informare le famiglie se un alunno manifesta volontà di cambiare sesso. Un provvedimento che ha reputato lesivo per le famiglie e per le imprese.
In un post successivo Musk ha annunciato anche il trasferimento di X da San Francisco ad Austin: «Ne ho abbastanza di schivare bande di tossicodipendenti violenti solo per entrare e uscire dall’edificio». San Francisco secondo Musk è diventata «post-apocalittica, pericolosa e spettrale. Vi si potrebbe girare un episodio di The Walking Dead». Il miliardario aveva già spostato la sede della sua azienda di auto elettriche Tesla togliendola da Palo Alto, in California. E a febbraio aveva trasferito la sede legale di SpaceX in Texas, ma non la sede centrale, che era rimasta a Hawthorne.
Un gesto che fa da sfondo alla contesa politica per le prossime elezioni presidenziali ed è noto che Musk sostiene e finanzia Trump. Ma forse la decisione non è tutta da inquadrare negli steccati ideologici di cui si parla molto, quanto nella tendenza pragmatica che da alcuni anni la frangia d’America più facoltosa e produttiva sta seguendo, premiando il Texas nei piani aziendali.
Perché il Texas non è più quello che comunemente immaginiamo tramite i film e non è più popolato unicamente da degli americani molto identitari e, se vogliamo, stereotipati. Tutt’altro. Il Texas è anche un luogo ora in grado di accogliere diverse categorie di cittadini, anche appartenenti al ceto professionale. Le potenzialità già c’erano, grazie al tradizionale regime fiscale molto accomodante e alle dimensioni come secondo Stato più grande degli Stati Uniti dopo l’Alaska, nell’esatto centro del continente a stelle e strisce.
Nel 2019 quella texana è stata la seconda economia a crescere di più e dalla California, in un decennio (2010-2020), sono immigrate 700.000 persone. Arrivano tante aziende, che si aggiungono alle storiche Dell, Hp, Indeed. L’innovazione tecnologica sta diventando anche una prerogativa texana, concentrata attorno alla capitale Austin. Specializzata soprattutto nel software, è la cosiddetta Silicon Hill, in antitesi ovviamente alla Silicon Valley californiana. Progrediscono Houston, San Antonio e Dallas, che tra l’altro è una roccaforte democratica, anche se non viene facile da pensare.
Poli di energia, aerospazio, medicina non mancano. Ha detto a Milionaire Salvatore Grignano, trade analyst dell’agenzia ministeriale italiana ICE: «Il Texas è il più grosso produttore di energia eolica e il secondo di energia solare, mentre Houston ha il centro medico più grande degli Stati Uniti, un agglomerato di 15 ospedali con centri di innovazione e ricerca. E inoltre il porto più grande per traffico di merci. Aggiungi a questi fattori un ottimo fuso orario e grandi opportunità con costi più bassi. Il Texas è pro-business. Le tasse e le regolamentazioni sono relativamente basse. Negli ultimi anni il settore aerospaziale è esploso e si stanno sviluppando nuove tecnologie. Il mio consiglio è questo: non guardate solo alla Silicon Valley e a New York, esplorate il Texas ma anche Miami e Atlanta: sono posti dove c’è abbondanza di capitale ma ancora pochi talenti. Perché mettersi nella fila sanguinosa di San Francisco? Il Texas è un acquario più piccolo con tanti pesci grossi. E poi sono tante le imprese italiane che hanno aperto la loro sede qui, altre hanno fatto exit».
C’è sempre però il rovescio della medaglia, che in questo caso coinvolge i cittadini autoctoni. Monta sempre di più il fastidio dei texani da generazioni per i tanti professionisti californiani che si stabiliscono, dato che hanno contribuito a formare una bolla immobiliare, oltre ai costi generali che si alzano in alcune zone adesso più affollate e scombussolate nelle loro usanze e abitudini. L’America già si caratterizza in genere per una politica abitativa poco oculata e quando un posto attrae così tanti investimenti e interesse, non può succedere altrimenti.
Ma la terra che un tempo era selvaggia non si ferma. E anzi spunta il progetto di creare una Borsa alternativa a quella di New York. Non si tratterebbe di un mercato azionario di piccole dimensioni, locale e limitato a determinati settori di scambio, come già in altri Stati fanno, ma di una piattaforma nazionale con sede a Dallas, completamente elettronica, aperta a tutte le aziende.
Più di venti importanti sostenitori hanno già investito centinaia di milioni di dollari nel progetto e i suoi promotori hanno lanciato un’aggressiva campagna di marketing. Il Texas Stock Exange (TXSE) avrebbe già dentro BlackRock e attende entro quest’anno l’approvazione alla registrazione da parte della Consob statunitense. Le prime operazioni dovrebbero partire nel 2025, ospitando nuove quotazioni l’anno dopo.