Esteri
Elezioni Polonia: exit-poll, alleati Meloni perdono governo, vince opposizione europeista
Di Giampiero Gramaglia
Dopo la Spagna, anche la Polonia sceglie l’Europa e relega all’opposizione i sovranisti che la governavano da otto anni. Il partito conservatore al potere, ‘Diritto e Giustizia’ (Pis), nazionalista e populista, di Jaroslaw Kaczynski è primo con il 36,8% voti, contro il 43,6 del 2019, ma non dispone della maggioranza dei seggi in Parlamento, neppure se si alleasse con il partito di estrema destra Confederazione (6,2%), razzista, omofobo e intenzionato a tagliare gli aiuti militari all’Ucraine.
Invece, l’alleanza centrista e europeista ‘Coalizione Civica’, dell’ex presidente del Consiglio europeo Donald Tusk, è seconda, col 31,6%, meglio di quanto prevedevano i sondaggi, ma insieme all’alleanza di centro-destra a parziale connotazione agricola ‘Terza Via’, al 13,0,%, e all’alleanza di centro-sinistra ‘La Sinistra’, all’8,6%, può formare una coalizione di maggioranza nella Sejm, la Camera bassa.
Considerando i seggi, sempre secondo l’exit-poll Ipsos, i tre movimenti coalizzati sotto la leadership di Tusk disporrebbero di 248 seggi, contro i 200 di Pis e Confederazione insieme. Dati da prendere con prudenza, perché sono exit-poll: i risultati definitivi saranno probabilmente disponibili martedì. E poi bisognerà vedere a chi il presidente della Repubblica Andrzej Duda affiderà inizialmente l’incarico di formare al governo.
Tusk ha dichiarato che il “regno” del Pis “è finito”: “La Polonia ha vinto, la democrazia ha vinto”, ha detto. Il Partito popolare europeo, il Ppe, di cui Tusk fa parte, commenta: “La maggioranza dei polacchi ha votato per il cambiamento… Vogliono una Polonia forte, stabile e orientata al futuro dentro l’Ue… I polacchi hanno scelto lo stato di diritto, tribunali e media liberi, un esercito apolitico e la democrazia. Hanno scelto l’Europa”.
Anche i liberali di Renew la vedono così: “In Polonia sta emergendo una maggioranza europeista con popolari, centristi e sinistra”. E i socialisti europei parlano di vittoria della democrazia e dell’Europa.
In Italia, gli exit-poll polacchi paiono un buon risultato per l’integrazione, in vista del voto europeo del giugno prossimo, e come la speranza di un’Europa più solidale. E c’è chi sottolinea la seconda sconfitta europea consecutiva per Giorgia Meloni: dopo la batosta di Vox in Spagna a luglio, ecco la perdita del governo del Pis in Polonia, partiti alleati di Fratelli d’Italia nel gruppo dei conservatori al Parlamento europeo.
Elezioni Polonia: la posta in palio
Il voto in Slovacchia che, a fine settembre, aveva premiato i nazionalisti populisti di Robert Fico, filo-russi, non crea tendenza. I polacchi si sono dimostrati consapevoli dell’importanza della posta in palio nelle loro elezioni: l’affluenza alle urne è stata nettamente superiore al 2019, quando s’attestò al 61,7%, la seconda più alta dopo il 62,7% delle prime elezioni democratiche del 1989. Record battuto, con una partecipazione intorno al 73%, in quella che era la tornata elettorale 2023 politicamente più significativa per l’Ue.
Circa 29 milioni di elettori erano chiamati alle urne, in un Paese grande quanto l’Italia, ma con poco più di 38 milioni di abitanti. La scelta di fondo era tra il partito sovranista ‘Diritto e Giustizia’ (Pis) di Jarosław Kaczynski e l’alleanza europeista ‘Coalizione Civica’ (Ko) di Donald Tusk. la tornata
“E’ un voto molto importante per il futuro della democrazia in Polonia, per la sicurezza europea e per l’Ucraina”, notava alla vigilia Constanze Stelzenmueller, analista della Brookings, un think tank di Washington. C’erano da scegliere per i prossimi quattro anni 460 deputati della Camera bassa e 100 senatori.
Con un avvicendamento al governo, la Polonia supererà probabilmente gli attriti con l’Ue che hanno caratterizzato gli anni dal 2015 a oggi, per le violazioni dello stato di diritto, con la politicizzazione della magistratura e l’asservimento dei media al potere, e su politiche specifiche, come le migratorie.
Elezioni Polonia: temi della campagna
Unione, Ucraina, migranti, e pure aborto, libertà di stampa, rispetto dello stato di diritto sono stati temi della campagna elettorale polacca, dove, domenica 1 ottobre, la ‘marcia di un milione di cuori’ dell’opposizione aveva mobilitato “centinaia di migliaia” di persone. Per Tusk, stava arrivando l’ora “della svolta nella storia del nostro Paese”, perché “il gigante si è svegliato, vinceremo le elezioni”.
“La Polonia sarà dialogante con l’Europa e il Mondo, tollerante, sensibile ai problemi climatici e rispettosa dello stato di diritto”, prometteva Tusk: “Siamo pronti a vincere e a formare un governo democratico, europeo aperto e tollerante”, facevano eco i suoi alleati. Diritto e Giustizia accusava l’opposizione di volere “far entrare in Polonia immigrati clandestini” e di prepararsi a creare “una seconda Lampedusa”, contrapponendo la sua visione “patriottica” a quella “tedesca” dei rivali. E, poi, una promessa concreta e accattivante: “Se vinciamo, lo stipendio medio salirà” all’equivalente di circa 2000 euro, cifra molto alta in un Paese che non ha l’euro.
Nonostante il Pis resti il maggiore partito, i sondaggi indicano una graduale liberalizzazione nell’atteggiamento della società polacca verso la comunità LGBTQIA”, scriveva su EurActiv Alexandra Yatsyk, riflettendo sulla guerra di genere tra Ue e Polonia, “ Un sondaggio nazionale tenuto nel 2022 indica che il tasso di omofobia sta diminuendo: il 34% e il 28% degli intervistati hanno appoggiato rispettivamente l’unione civile e il matrimonio fra coppie omosessuali.”
Elezioni Polonia: i riflessi europei e italiani
Quella giocata in Polonia è una buona fetta della partita elettorale europea tra Giorgia Meloni e Matteo Salvini. Se vinceva il partito di Kaczynski, alleato di Fratelli d’Italia a Strasburgo, aumentvaano le possibilità che il gruppo dei conservatori potesse contare nella prossima legislatura del Parlamento europeo, dando magari supporto a Ursula von der Leyen per l’eventuale riconferma a presidente della Commissione europea. Con la sconfitta di Kaczynski, si rafforzano le prospettive che la linea sovranista a Strasburgo sia soprattutto portata avanti dal connubio ‘testato’ a settembre a Pontida tra Matteo Salvini e Marine Le Pen.
Dopo le elezioni in Slovacchia di fine settembre, quelle regionali tedesche domenica 8 ottobre – s’è votato in Baviera e Assia, roccaforti della Cdu/Csu, dove l’estrema destra di AdF ha avuto consensi record – e quelle in Polonia, l’agenda politica dell’autunno Ue ha ancora segnata in neretto la data del 22 novembre, le politiche in Olanda. E se il socialista Pedro Sanchez non formerà un governo entro il 27 novembre, gli spagnoli torneranno alle urne a metà gennaio, dopo il voto estivo.
Scadenze cruciali per rimodulare le previsioni sulla prossima legislatura del Parlamento europeo e delle Istituzioni europee, la cui fisionomia sarà decisa dal voto previsto tra il 6 e il 9 giugno 2024 e dal rinnovo della Commissione europea entro il novembre 2024. In Italia, la partita europea è essenzialmente nazionale e interna alla coalizione di destra al governo, con premier e vice-premier impegnati a recitare da europeisti – più la Meloni che Salvini – nelle sedi internazionali multilaterali e da sovranisti in casa.
I partner europei sono perplessi e talora sconcertati; gli elettori italiani faticano a raccapezzarsi. I nodi vengono al pettine: con l’Ue, la legge finanziaria, il Pnrr, la riforma del Patto di Stabilità, il Mes, i migranti; in Italia, le priorità della manovra, il ‘caro tutto’ – energia ed alimentari, soprattutto -, ancora i migranti.
L’Italia, in asfissia di risorse, si complica la vita nel contesto europeo, alimentando di continuo spunti polemici, invece di cercare il dialogo e la collaborazione: Meloni e Salvini e i loro ministri attaccano briga alternativamente con Parigi e Berlino; e fanno comunella con Varsavia e Budapest, salvo poi essere ripagati dai loro interlocutori polacchi e ungheresi con la moneta di sonanti veti sulla politica europea dell’immigrazione. Un mix da brivido di nemici sbagliati ed amici pure.
Scrivono Nathalie Tocci e Leo Goretti, direttrice e ricercatore dell’Istituto Affari Internazionali: “Dopo un anno di Governo Meloni, nuvole scure si addensano sull’orizzonte delle relazioni Ue/Italia. Meloni dichiara di avere finalmente convinto l’Ue ad affrontare la dimensione esterna della politica migratoria. Tuttavia, non c’è nulla di nuovo nell’approccio europeo. E, come se non bastasse, l’Italia non ha raggiunto nessun risultato sulla dimensione interna… Per quanto riguarda poi la politica economica, l’atteggiamento del governo italiano, esemplificato dalla ritardata ratifica del Mes, indebolisce la credibilità dell’Italia e ne limita gli spazi di manovra. C’è un rischio reale che il nuovo Patto di Stabilità sarà ben lontano da quello che l’Italia si aspetta e di cui ha bisogno”.
Con la Polonia, la premier italiana è sempre stata molto comprensiva: al Vertice di Granada, disse di “capirne le motivazioni”, dopo che il premier Mateusz Morawiecki aveva bloccato l’intesa sull’immigrazione perché – aveva detto – “sono responsabile della sicurezza dei cittadini polacchi … Rimarremo sicuri con il governo di Diritto e Giustizia” (chiaro messaggio in chiave elettorale).
Com’era elettorale la logica dell’atteggiamento della Polonia verso l’Ucraina: dopo esserne stata, dall’inizio dell’invasione, la più oltranzista degli alleati europei, Varsavia, nelle ultime settimane, per una manciata di grano e soprattutto per il voto dei contadini, aveva smesso di dare armi a Kiev e aveva frenato la vendita di cereali ucraini nell’Ue. Posizioni che, col voto in Slovacchia e il blocco – sia pure temporaneo – degli aiuti Usa, indebolivano la fermezza dell’Occidente nel sostegno all’Ucraina.
A otto mesi dal voto europeo, previsioni e calcoli sui futuri assetti di forza e di potere tra Bruxelles e Strasburgo resteranno scritti sulla sabbia di questa ‘estate indiana’, quali che siano i risultati polacchi e olandesi. Ma se Diritto e Giustizia dovesse perdere, a risultati definitivi conosciuti, ci sarebbe il sospetto che Meloni abbia sbagliato cavallo e scuderia.
C’è l’impressione che l’atteggiamento del governo italiano verso gli interlocutori europei sia spesso condizionato, più che dalla tutela degli interessi contingenti, dalle manovre in atto a Bruxelles, dove si tastano le prospettive di nuove coalizioni, la cui forza nei numeri andrà poi verificata a voto fatto: l’attuale maggioranza europeista fra popolari, socialisti, verdi e liberali potrebbe essere rimpiazzata da una maggioranza di centro-destra tra popolari e conservatori, meno europeista e, anzi, fortemente striata di sovranismo.
La speranza di contare di più domani, in un’Unione meno coesa e più fragile, non deve però indurre a errori oggi. I negoziati che per l’Italia contano, quest’autunno, finanziaria, Patto di Stabilità, migranti, si fanno con chi c’è e non con chi – forse – ci sarà.