Le recenti elezioni che si sono tenute in Spagna avranno un impatto ancora da definirsi sulla riforma dell’Europa di cui stiamo vivendo le avvisaglie. Non solamente la revisione della governance economica e delle competenze in materia di politica estera, ma anche una riflessione più ampia sull’assetto istituzionale, e in particolare il funzionamento e la distribuzione di ruoli tra Consiglio, Parlamento e Commissione, e l’eventuale allargamento ad altri paesi, inclusa in futuro l’Ucraina.
Le implicazioni sulla riforma dell’Europa sono due: l’instabilità del governo e l’opinione pubblica nel paese. Dal punto di vista della stabilità del governo, non è ancora chiaro se il PSOE (partito socialista), che ha ottenuto un risultato più brillante delle aspettative, sarà in grado di formare un nuovo governo, e la possibilità di un governo di larghe intese tra PSOE e PP (partito popolare) sembra esclusa. Si fa sempre più probabile lo scenario della convocazione di nuove elezioni, che prolungherebbe la situazione di stallo che si è creata, per di più in occasione della presidenza di turno della Spagna del Consiglio dell’UE, che dura dal 1° luglio al 31 dicembre 2023. L’instabilità o un governo debole renderebbero le posizioni della Spagna meno forti in seno agli organi intergovernativi dell’Unione europea.
Dal punto di vista dei contenuti dei programmi elettorali, l’esito delle elezioni è invece assai più chiaro. Oltre il 60% dei cittadini spagnoli ha infatti votato per un partito moderato ed europeista, tra PP e PSOE. Il PP ha posizioni cautamente europeiste, nel momento in cui afferma che il partito affronterà l’attesa riforma istituzionale dell’UE come garanzia che, in caso di allargamento, le istituzioni europee possano continuare a funzionare. Il PP si proclama inoltre a favore della riforma del patto di stabilità e della promozione dell’autonomia strategica aperta europea. Si tratta di posizioni ambigue, che tuttavia non chiudono a eventuali rafforzamenti dell’UE. Il PSOE con maggiore chiarezza si schiera a favore dell’integrazione europea, dichiarandosi favorevole all’estensione delle votazioni a maggioranza qualificata nella politica estera, alla realizzazione di un’Europa sociale e al rafforzamento della politica estera e di difesa comune. Posizioni più federaliste vengono assunte, con declinazioni diverse, da SUMAR (la coalizione della sinistra) e dai partiti regionalisti e autonomisti. SUMAR declina il proprio posizionamento federalista nel senso di un cambiamento del paradigma economico dominante nelle istituzioni UE, una maggiore democratizzazione delle istituzioni UE – attribuendo l’iniziativa legislativa al Parlamento europeo, migliorando le modalità di scelta dei vertici della Commissione, e riducendo i poteri del Consiglio europeo – e un rafforzamento delle iniziative europee in materia di pianificazione dell’economia in chiave ambientalmente sostenibile. Un partito regionalista come l’ERC (sinistra repubblicana di Catalogna) propugna il federalismo europeo quale modo per ridurre il potere degli stati membri, giovando in tal modo alla causa indipendentista.
L’unico principale partito dichiaratamente euroscettico è quindi VOX, che si ferma a meno del 13% dei voti. Il posizionamento dei cittadini spagnoli è quindi spostato su partiti le cui posizioni variano dall’europeismo al federalismo europeo. Per quanto la coalizione di governo (con questi risultati o a seguito di nuove elezioni) non si formerà solamente sulla base delle posizioni dei partiti in merito all’Unione europea, i risultati elettorali dimostrano come la popolazione spagnola sia in maggioranza favorevole all’UE e a una sua riforma. Si tratta, al netto dell’incertezza, di un dato molto positivo, di cui si terrà conto in vista delle alleanze che si costituiranno tra meno di un anno nella nuova legislatura del Parlamento europeo per la scelta della nuova Commissione europea.