In questi ultimi giorni, a sentire le dichiarazioni dei rappresentanti dei governi, sembra che si sia quasi giunti alla destinazione molto importante di un accordo sul patto di stabilità e crescita.
Al termine del consiglio ECOFIN dello scorso 8 dicembre, Nadia Calvino, esponente della presidenza di turno spagnola, ha dichiarato che i passi in avanti sono stati numerosi, e ci si aspetta di avere un accordo politico entro la fine dell’anno.
Sulla stessa lunghezza d’onda il commissario europeo per l’economia Gentiloni. Sul tavolo dell’ECOFIN è stato portato un testo comune preparato da Germania, Francia, Italia e Spagna, concernente in particolare la procedura per i disavanzi eccessivi, uno degli elementi più sensibili del negoziato. Tuttavia, non sarebbe saggio dare i giochi per fatti.
L’elefante nella stanza della politica italiana si chiama Meccanismo Europeo di Stabilità, in quanto l’Italia da mesi risulta essere l’unico stato membro che non ha ancora provveduto alla ratifica delle modifiche del trattato istitutivo.
Se a Bruxelles si dà per scontata la ratifica italiana, essa risulta particolarmente indigesta al governo, in quanto sia Fratelli d’Italia sia la Lega si sono ripetutamente scagliati in passato contro il MES. Se leghisti oltranzisti come Claudio Borghi, da sempre paladino dei no euro, hanno affermato che non voteranno mai per la ratifica, esponenti di Forza Italia, anche vista la loro appartenenza al Partito Popolare Europeo, si sono dichiarati favorevoli.
Più ambigua la posizione di Fratelli d’Italia, che ha affermato di voler attendere il via libera sul patto di stabilità per la ratifica del MES. Un accordo politico potrebbe arrivare nel corso del prossimo consiglio europeo, che si terrà il 14 e il 15 dicembre, ma difficilmente il gioco dello scambio intergovernativo (MES in cambio di patto di stabilità) potrà funzionare, come invece successe ai tempi del PNRR: l’Italia ha troppo da perdere da una mancata ratifica del MES e da un mancato accordo sulle regole di bilancio, quindi si tratta di minacce non credibili.
Va inoltre segnalato un atteggiamento subottimale del governo nel negoziato, vale a dire il non provare a discutere mai della creazione di una capacità di bilancio permanente. È vero che con il PNRR in corso i tempi probabilmente non sono ancora maturi, ma la sentenza della corte costituzionale tedesca sul bilancio, che mette a rischio importanti investimenti tedeschi nella transizione verde e digitale, avrebbe dato un ottimo argomento all’idea di rendere pienamente europei i fondi per queste transizioni epocali.
Da questo si vede il limite dei conservatori nostrani: non tanto l’euroscetticismo di facciata, che viene rimangiato tra silenzi, ambiguità e imbarazzi una volta al governo, ma nell’assenza di una visione ambiziosa europea che proietterebbe il nostro continente verso il futuro.