Esteri

Dopo Navalny, tocca a Yulia

19
Febbraio 2024
Di Ilaria Donatio

«Continuerò il lavoro di Aleksej, lotterò per la Russia con voi». Con queste parole, poche ore fa, la vedova di Navalny, Yulia Navalnaja, in un video pubblicato su Youtube ha annunciato di prendere il testimone del marito,  Alexei Navalny: attivista e blogger politico, per anni il simbolo dell’opposizione politica al presidente russo Vladimir Putin. 

Il dissidente russo di origine ucraine è morto il 16 febbraio scorso, nella colonia penale a regime speciale di Kharp, nel Circolo polare artico, secondo la tv russa Russia Today, a causa di una trombosi. 

Ma le reali cause della morte di Navalny ancora si ignorano, come si ignora in che momento sia veramente spirato e se il corpo sarà mai restituito alla famiglia: quel che sono certi – riferiscono i sanitari dell’ospedale di Salekhard, una città non lontana da Kharp, dove si trova ora la salma – sono i lividi riscontrati sul corpo, compatibili sia con il massaggio cardiaco che con il tentativo del personale di immobilizzare il paziente che era scosso da convulsioni potenzialmente compatibili con l’avvelenamento.

Yulia Navalnaja prende il testimone del marito
Yulia Navalnaja – che proprio oggi a Bruxelles incontrerà i ministri europei degli Esteri – ha lanciato anche un appello: «Invito tutti voi a starmi vicino». Per la donna, Aleksej è stato avvelenato con il Novichok e ha accusato il presidente russo Vladimir Putin di averlo ucciso. 

L’Alto Rappresentante per gli Affari Esteri e la Politica di Sicurezza dell’Unione Europea, Josep Borrell, ha già annunciato che le sanzioni europee per gli abusi dei diritti umani verranno intitolate a Navalny che era in carcere del 2021 (ed era stato messo in isolamento ben 25 volte, nel giro di una anno e mezzo) e doveva scontare una pena di 19 anni.

Le morti sospette degli oppositori del Cremlino
Ma prima di Alexei Navalny, negli anni, è stata lunga la serie di misteriosi incidenti, avvelenamenti e strani omicidi-suicidi di personaggi scomodi per il Cremlino.

In ordine di tempo, il più recente è stato il capo del gruppo Wagner nonché ex amico di Putin, Prigozhin (agosto 2023); poi, l’oligarca Sergey Grishin che aveva osato criticare duramente il presidente russo (marzo 2023); Maganov e Antonov, rispettivamente, ex presidente della compagnia petrolifera Lukoil e oligarca che dopo aver protestato pubblicamente contro l’attacco della Russia all’Ucraina, sono morti entrambi nel 2022 in strani incidenti.

Qualche anno prima, la stessa fine era capitata a Boris Nemtsov, ex vice primo ministro, colpito da un colpo di pistola dopo aver criticato l’annessione unilaterale della Crimea (2015); ancora prima ad Alexander Litvinenko, ex ufficiale del Kgb e oppositore di Putin, avvelenato con del tè al polonio (2006); lo stesso anno in cui la reporter di Novaya Gazeta, Anna Politkovskaya, venne uccisa di fronte alla sua casa di Mosca proprio nel giorno del compleanno del leader russo: la sua colpa era stata quella di aver scritto il capolavoro “La Russia di Putin”, sulla gestione russa della gestione in Cecenia. 

Dopo Politkovskaya il Cremlino silenziò anche un’altra reporter collaboratrice di Novaya GazetaAnastasia Baburova, assassinata nel gennaio 2009 insieme all’avvocato difensore dei diritti umani Stanislav Markelov mentre si trovavano per le strade di Mosca. 

Sempre con colpi di arma da fuoco sono stati assassinati altri esponenti di organizzazioni che si occupavano di diritti umani, come Natalia Estemirova.

Gli “esiliati”
Chi non è in carcere o non è stato ucciso, è fuggito o si è autoesiliato all’estero: è il cado dell’ex magnate del petrolio Mikhail Khodorkovsky e del presentatore televisivo Maxim Galkin. 

Khodorkovsky abita a Londra dopo aver scontato 10 anni di prigione e finanzia progetti mediatici critici con il Cremlino. Galkin, marito dell’icona pop russa Alla Pugacheva, vive invece in Israele ed è diventato una delle voci contro l’offensiva ucraina sui social media. È considerato da Mosca “un agente straniero”, come tutti coloro che non la pensano come il Cremlino.

Nel corso degli anni, sono stati diversi gli arresti e i processi che Navalny ha subìto: in particolare per le numerose proteste da lui organizzate e per le quali è finito in carcere.

Un po’ di storia: la sentenza della Corte europea 
A seguito degli arresti, nel 2018, la Corte Europea dei diritti dell’uomo ha condannato la Russia a risarcire Navalny con 50mila euro per danni morali, 1.025 per danni materiali e 12.653 euro per le spese sostenute. Per i giudici di Strasburgo, Navalny fu arrestato per “sopprimere il pluralismo politico”.

Il 20 agosto 2020, durante un volo dalla Siberia a Mosca, Navalny accusa un malore e viene portato in un ospedale in terapia intensiva: sarebbe stato avvelenato dalle forze del Cremlino. E su volere della moglie, il dissidente russo viene trasferito in Germania dalla Russia, allo Charitè di Berlino, dove viene riscontrato un avvelenamento da Novichok, confermato successivamente dai laboratori di Svezia e Francia. Dopo 32 giorni viene dimesso e ma al suo rientro in Russia dopo le cure, Navalny viene arrestato all’aeroporto Sheremetyevo di Mosca. 

Il premio Sacharov
A ottobre 2021, mentre la commissione carceraria russa lo definisce “un terrorista”, vince il Premio Sacharov, premio annuale organizzato dal Parlamento europeo per chi si batte per i diritti umani. Dal carcere ha seguito l’invasione russa dell’Ucraina, iniziata nel 2022. Verso la fine del 2023 viene trasferito per un anno in una cella singola “a causa della sua incorreggibilità”. A dicembre emerge che il dissidente si trova in una colonia penale presso Charp.

Il testamento di Navalny
Dopo la sua morte, in diverse città della Russia, compresa Mosca, i canali Telegram dell’opposizione hanno segnalato iniziative di centinaia di cittadini che hanno deposto fiori su improvvisati memoriali dedicati a Navalny. 

La Procura della capitale ha messo in guardia dal partecipare ad una manifestazione per la quale si erano diffusi diversi appelli via internet. Ma la protesta potrebbe non fermarsi: “Vi devo dire una cosa. Non siete autorizzati a mollare. Se decidono di ammazzarmi vuol dire che siamo incredibilmente forti. Dobbiamo utilizzare questo potere“, aveva detto l’oppositore in una clip tratta dal film dal titolo ‘Navalny’ di Daniel Rohr del 2022. Parole che ora suonano come un testamento.