Esteri
Usa, Donald Trump di nuovo presidente. Cosa temere adesso?
Di Giampiero Cinelli
L’America si è svegliata con un nuovo presidente. Donald Trump. Che ha già parlato ai sostenitori a Palm Beach e attende solo l’ufficialità del risultato nelle prossime ore. Non c’è più nessun dubbio su chi siederà alla Casa Bianca nei prossimi quattro anni, dopo che la battaglia sugli Stati in bilico, i cosiddetti “Swing States”, ha visto trionfare Trump con un 7 a 0, aggiudicandosi anche la Pennsylvania, reputata l’ago della bilancia con l’assegnazione di 19 Grandi Elettori e pronosticata ai democratici.
Stamattina negli studi di Largo Chigi, il format di The Watcher Post, sono state commentate le elezioni a stelle e strisce. Tutti gli ospiti hanno tirato fuori le questioni cruciali che deriveranno dall’amministrazione repubblicana. In primis, dalla riflessione di Giampiero Gramaglia – editorialista di The Watcher Post – è emersa la posizione dominante di Trump, che stavolta ha una buona maggioranza al Congresso, al Senato e gode anche di ascendente sulla Corte Suprema. Proprio per questo è riuscito a divincolarsi dai processi a suo carico, aperti negli ultimi tempi, e adesso il suo potere poterebbe perfino aprire la strada a degli Stati Uniti con meno garanzie democratiche, come ha ipotizzato Stefano Feltri, fondatore della Newsletter Appunti. Il timore ha a che fare con alcuni punti del Project 2025, programma politico della Heritage Foundation, il think thank espressione della destra trumpiana.
Stando al giornalista, considerato il testo unito all’assetto istituzionale del prossimo futuro, ci sarebbero le potenzialità per azioni violente. Feltri ha espresso inoltre preoccupazione per la prosecuzione del Green Deal europeo e non crede che la vittoria di Trump possa stimolare l’Unione Europea a progredire. Altro rischio è un riacutizzarsi della crisi dei Balcani, sui quali grava l’ipotesi che il nuovo presidente a sorpresa appoggi le mire serbe su Bosnia Erzegovina e Kosovo. In generale, nella politica estera, non stupirebbe un ulteriore impulso alla spesa militare di cui le nazioni europee della Nato dovrebbero farsi carico.
Secondo Ernesto Di Giovanni, Vice Presidente dell’Associazione Amerigo, questo nuovo corso statunitense porrà certamente il problema dei rapporti commerciali con l’Europa e e delle relazioni internazionali. Se una politica dei dazi è, per quanto insidiosa, prevedibile, però cosa farà Trump sul fronte ucraino, mediorientale, taiwanese? Riguardo a Israele, Di Giovanni fa notare un potenziale smorzamento delle ostilità in Palestina man mano che Donald Trump si stabilisce. Armonia ci si aspetta con il leader della Corea del Nord, mentre si è meno tranquilli quando si pensa all’affare nell’Indo-Pacifico.
In conclusione Di Giovanni ha notato il modo in cui Trump ha gestito il rapporto con il mondo dei grandi imprenditori americani. Non con tutti, e non in tutti i settori, il Tycoon è apparso a suo agio; ad ogni modo il grande attaccamento a Elon Musk dà delle indicazioni.
Perché i Dem hanno perso? Stefano Feltri ha analizzato da un punto di vista delle relazioni di Kamala Harris con un certo mondo produttivo e con gli strati sociali medio-bassi. Il mondo aziendale si è fidato più di Trump e i ceti popolari nella ex procuratrice californiana non si sono riconosciuti. La candidata ha anche scontato la sua entrata in scena tardiva, nonostante più volte fosse stato detto che Biden era in grado di correre e andasse sostenuto.
Feltri ha anche sottolineato, che un candidato meno adatto al consenso trasversale, ma comunque in grado di vincere per la sua forte caratterizzazione, non era certo una Harris troppo sbilanciata sui temi dei diritti civili e dell’inclusione, ma casomai personaggi come Bernie Sanders e Alexandria Ocasio-Cortez, politici che – ha notato il giornalista – hanno tenuto vivo il Partito in questi anni.
E sulla comunicazione qual è stata l’arma di Donald Trump? Domenico Giordano di Arcadia l’ha rilevata nella capacità di muoversi attraverso le varie piattaforme digitali e soprattutto con largo anticipo. Giordano non ha scherzato molto quando ha detto che la campagna di Trump è iniziata nel 2021, dopo il giorno dell’assalto a Capitol Hill, mentre Kamala Harris ha avuto meno tempo per impostare la sua narrazione. La sua è stata tarata sull’entusiasmo, l’ottimismo, mentre quella di Trump sulla paura. Evidentemente quella della paura ha fatto maggior presa o magari l’immaginario di Harris non poteva attecchire velocemente.
Negli anni a venire il potere persuasivo del digitale potrebbe incrementare, ha riflettuto Giordano, per via dello sviluppo di dimensioni come il metaverso e grazie a nuovi social in grado di farsi strada. Quello di Trump, ad esempio, forse sarà importante.
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