Esteri
Asse Berlino-Parigi-Washington. Spaventa il piano anti-inflazione di Biden
Di Giuliana Mastri
Parigi, Berlino e Washington cercano la quadra. Nel momento in cui l’area più sviluppata del mondo vuole ritrovare forza e agganciare quella transizione ecologica che tanto servirebbe anche in chiave concorrenziale anti-cinese. Oggi i ministri dell’economia francese e tedesco Bruno Le Maire e Robert Habeck incontrano in una missione diplomatica i segretari Usa al Commercio e al Tesoro Gina Raimondo e Janet Yellen. Obiettivo, concordare un limite al potenziale effetto distorsivo sul mercato dell’Inflation Reduction Act (Ira), il piano americano da 430 miliardi di dollari che prevede sussidi per la transizione energetica, tagli fiscali sia per auto elettriche sia per batterie prodotte in Usa e agevolazioni per chi vorrà portare avanti progetti green sul suolo americano. Chiaramente un intervento poderoso che spaventa l’UE sul rischio che molte aziende decidano di trasferirsi oltreoceano o di investire maggiormente lì. Soprattutto in un momento in cui, alla forza fiscale degli Stati Uniti, l’Europa sta rispondendo con un allentamento dei vincoli sugli aiuti di Stato, certamente una mossa positiva ma meno impattante, che tra l’altro non sta bene a tutti i membri dell’Unione perché può anche questo frammentare il mercato. C’è già comunque il Recovery Fund, a quanto pare percepito come meno efficace dell’Ira, probabilmente perché più macchinoso nelle modalità, tanto che è stato proposto un altro Fondo europeo da creare (idea caldeggiata da Giorgia Meloni), ma olandesi e tedeschi su tutti hanno detto no. Macron era favorevole.
E allora ecco i ministri Le Maire e Habeck che hanno deciso ugualmente di trovare assieme delle contromisure. Chiederanno al governo statunitense assoluta trasparenza sulla lista dei beneficiari degli aiuti, con i relativi importi, e parità di trattamento rispetto ai Paesi confinanti con gli Usa. «L’UE non può essere trattata meno bene di Canada e Messico. Sarebbe inaccettabile. Sono ottimista in un accordo entro il primo semestre di quest’anno», aveva detto il cancelliere tedesco Olaf Scholz. Mentre il ministro francese nelle sue dichiarazioni considera tutti i fattori di rischio e sottolinea che l’Ira, unito al costo dell’energia che in America molto più basso, può essere un vero grattacapo per l’Europa. I risultati dell’incontro dovrebbero essere incorporati nei prossimi consigli europei di febbraio e marzo, che saranno molto dedicati all’economia, ma in cui già si sa d’arrivare divisi su aspetti importanti. Sarà insomma difficile una fumata bianca su un Ira europeo, anche se ovviamente se ne sta parlando.
L’Italia resta fuori
Non si può ignorare che il viaggio istituzionale dei ministri francese e tedesco lasci a casa l’Italia. Essendo noi la seconda manifattura d’Europa, non si tratta di un particolare poco rilevante. E il disappunto è espresso anche pubblicamente dal ministro delle Imprese Adolfo Urso, il quale, pur confidando nella bontà dell’iniziativa, ha commentato affermando che non si tratta di un’iniziativa europea. Anche l’Italia sta studiando la sua strategia per muoversi in questa congiuntura, conscia del fatto che la sua richiesta di un nuovo fondo europeo quasi certamente non verrà ammessa. Nonostante ciò, la Commissione europea ha fatto sapere che con l’ulteriore revisione della disciplina sugli aiuti di Stato, l’Italia sarà il terzo beneficiario con il 7% delle risorse. Pur venendo dopo la Francia, che avrà il 24% dei complessivi 672 miliardi di euro sul piatto, con la Germania il testa, a cui spetterà il 53%.
Agli altri, a dire il vero, andranno briciole. E infatti non ha tardato a palesarsi la protesta dei Paesi nordici. Il ministero di Urso non si è associato alla lettera critica che Danimarca, Finlandia, Olanda, Irlanda, Polonia e Svezia hanno inviato alla Commissione europea. Scrivendo invece le sue proposte di miglioramento del piano di aiuti, basate su una revisione della governance che generi capacità fiscale a livello centrale, la delimitazione degli aiuti per non favorire chi ha maggiore capacità fiscale, un accesso al credito a condizioni paritetiche e appunto la messa a progetto di un fondo sovrano europeo, che probabilmente sarà bocciato dagli altri membri ma che se dovesse nascere potrebbe vedersi a partire dall’estate del 2023.