Esteri
Se l’America vuole Trump più moderato. L’indagine del Wall Street Journal
Di Tommaso Carboni
Donald Trump torna alla Casa Bianca più sicuro di sé, dopo una vittoria più netta rispetto al 2016, dopo aver scelto collaboratori più fedeli e aver stabilito un controllo maggiore sul Partito Repubblicano. Il rischio è farsi prendere la mano, credere di avere ricevuto un mandato rivoluzionario, quando gli elettori sembrano preferire un certo grado di moderazione. Biden credeva di dover trasformare l’economia americana, ma è stato punito per cose meno fumose: l’inflazione e il caos di migrazioni illegali dal Messico. Nel suo discorso Trump ha detto che con lui inizia una «rivoluzione del buon senso». Tuttavia certe sue frasi – come la volontà di «espandere i nostri territori» e «riprenderci il Canale di Panama» – suonano tutt’altro che equilibrate. Dovrebbe stare attento: quella non sembra la direzione giusta. Secondo un sondaggio appena uscito sul Wall Street Journal, gli elettori vogliono una versione più morbida del «Make America Great Again». Sì al contrasto dell’immigrazione illegale, no a deportazioni di massa; non piace nemmeno la minaccia della forza o della coercizione economica contro Panama e la Groenlandia.
Trump ha già firmato decreti che, stando al sondaggio del WSJ, la maggioranza degli americani non approva. Il 57% è contrario alla grazia per gli assalitori del Congresso del 6 gennaio; Trump però li ha perdonati quasi tutti (circa 1.500 persone). Ancora più impopolare è la decisione di abolire lo ius soli con un ordine esecutivo, nonostante il diritto sia sancito dalla Costituzione: il 64% degli elettori è contrario.
Ma la cosa più clamorosa è il fatto che Trump abbia reclamato nuovo territorio per gli Stati Uniti. Un presidente americano non parlava in questi termini da oltre un secolo. L’ultimo a farlo fu William McKinley, citato dallo stesso Trump, che nel suo primo mandato (tra il 1897 e il 1901) annesse Porto Rico, Guam e le Filippine, trasformando Cuba in un protettorato. Anche qui gli elettori non sembrano entusiasti. Più di due terzi si oppongono all’uso della coercizione economica o della forza militare per prendere il controllo della Groenlandia, mentre il 57% è contrario a impiegare tali tattiche per riprendere il controllo del Canale di Panama.
Sul fronte interno ci sono diverse aree delicate, in cui Trump non dovrebbe strafare. Ha firmato alcuni decreti per indebolire certe garanzie dei lavoratori federali. Il suo obiettivo è togliere potere alla burocrazia perché la considera un intralcio. È vero che gli elettori gradirebbero «cambiamenti significativi» su come funziona il governo – dice il Wall Street Journal. Ma riforme troppo radicali potrebbero risultare indigeste. Secondo il sondaggio, oltre il 60% degli intervistati si oppone a una delle idee centrali di Trump: sostituire migliaia di funzionari pubblici con persone scelte direttamente dal presidente.
L’altro tema interno cruciale è l’immigrazione. Gli elettori sono d’accordo con Trump su controlli più rigidi alle frontiere e il contrasto all’immigrazione clandestina. Tuttavia sembrano molto cauti riguardo a deportazioni di massa, una delle promesse della campagna elettorale.
Il 70% chiede di proteggere dall’espulsione i residenti di lunga data senza precedenti penali. Il problema è che tra i clandestini probabilmente non ci sono abbastanza criminali, se l’obiettivo è deportarne milioni. Alcuni numeri citati dall’Economist: dal 2017 solo l’1,4% dei nuovi processi legati all’immigrazione si basava su attività criminali di un migrante (escluso l’ingresso illegale nel Paese). Mentre tra chi viene deportato e ha precedenti penali, il reato più comune, oltre all’ingresso illegale, è la guida in stato di ebbrezza. Ciò significa che per espellere milioni di persone bisogna pescare tra i clandestini che vivono ormai da anni negli Stati Uniti e costituiscono una fetta importante della forza lavoro americana. Una crociata rischiosa per Trump – oltre agli ostacoli legali e all’opposizione dei democratici, potrebbe alienarsi una parte dell’elettorato.
A noi europei, con economie non brillantissime, la cosa che ci spaventa di più forse sono i dazi. Trump ha promesso di alzarli anche sull’export di Paesi amici, minacciando di colpire nei prossimi giorni Canada e Messico con un aumento del 25 per cento. In questo caso l’elettorato americano è diviso: il 48% è favorevole a nuovi dazi, il 46% contrario. Il 68% però riconosce che tariffe più alte aumenterebbero i prezzi dei beni importati.
Trump pensa di contrastare l’inflazione abbattendo il costo dell’energia. Il suo motto è «drill, baby drill», e ha già firmato tutta una serie di decreti per togliere ostacoli alla produzione di carburanti fossili. L’ironia è che Biden sembra avergli preparato la strada. Negli ultimi quattro anni l’America ha pompato quantità record di idrocarburi. Per Trump sarà difficile fare di più.