Esteri

7 ottobre 2023, una data che sarà ricordata

14
Ottobre 2023
Di Beatrice Telesio di Toritto

All’alba di sabato scorso il gruppo radicale palestinese Hamas, che governa la Striscia di Gaza, ha iniziato una complessa operazione via mare, via terra e via aria contro Israele. È stato un attacco senza precedenti, per estensione dell’operazione, per numero di combattenti impiegati, per il drammatico numero di vittime civili e, in assoluto, per il modo in cui tutto si è svolto. L’attacco via terra, in particolare, è stato feroce e spietato e ha colto di sorpresa sia l’intelligence sia le forze di sicurezza israeliane. L’offensiva è stata infatti a tutti gli effetti un colpo al cuore al mito “dell’inviolabilità” dello stato ebraico: di questo fallimento si parlerà probabilmente molto a lungo e quello che è successo sarà oggetto di studi e commissioni d’inchiesta di cui solo fra diverso tempo avremmo un responso. Tuttavia, va anche considerato che a detta di molti esperti a favorire “l’effetto sorpresa” sarebbero state le decisioni politiche prese dal governo di Netanyahu nel corso degli ultimi anni piuttosto che eventuali falle nel sistema di sicurezza israeliano. Per buona parte degli ultimi 15 anni, Netanyahu ha indirizzato la politica e la vita pubblica isrealiana su priorità sempre più lontane dalla sicurezza nazionale e dalla risoluzione della questione palestinese, che ha man mano perso rilevanza. Eppure, meno di un anno fa l’inviato delle Nazioni Unite per il Medio Oriente riportava al Consiglio di Sicurezza che la situazione stava raggiungendo il punto di non ritorno. Ad oggi, quel punto sembra ormai essere superato. I bombardamenti che Israele sta conducendo sulla Striscia di Gaza da sabato, in risposta all’attacco di Hamas, sono i più importanti ed estesi da almeno sedici anni a questa parte e un’invasione di terra nell’enclave palestinese sembra ormai imminente. Nel frattempo, Netanyahu insieme all’ex ministro della Difesa Benny Gantz, leader di uno dei partiti di opposizione, ha trovato un accordo per formare un governo di unità nazionale in modo da gestire in maniera più condivisa le prossime fasi dello scontro con Hamas. Nei fatti sarà un allargamento dell’attuale governo di destra guidato dal Primo Ministro. Gli occhi del mondo sembrano allora essersi momentaneamente spostati dall’Europa al Medio Oriente, dove si guarda con apprensione e preoccupazione a un conflitto il cui rischio di escalation è ad oggi altissimo. La possibilità di un allargamento del conflitto a livello regionale, e in particolare all’Iran, è l’incubo che in queste ore vivono molte capitali dell’area, e non solo. Il tema, infatti, è stato al centro delle discussioni che il Ministro Tajani ha avuto in Egitto con il presidente al-Sisi e il suo omologo Sameh Shoukry. Oltre alla netta condanna ad Hamas, Tajani si è fatto promotore di un messaggio chiaro: “va evitato a tutti i costi un allargamento del conflitto ad Hezbollah e al Libano”, dove l’Italia è presente con circa 1.200 soldati nella missione Unifil. Roma non ha grandi leve per entrare nel conflitto come mediatrice ma può sfruttare le buone relazioni che mantiene con alcuni paesi della Regione. Nella sola giornata di mercoledì il presidente del Consiglio Meloni ha tenuto infatti conversazioni telefoniche con il presidente degli Emirati Arabi Uniti Mohamed bin Zayed bin sultan Al Nahyan e con l’emiro del Qatar Tamim Bin Hamad Al-Thani per fare il punto della situazione e cercare, per quanto possibile, una via per la de-escalation. Ma il tempo a disposizione è poco anche solo per mettere in atto un “corridoio umanitario” che possa mettere in salvo alcuni degli ostaggi israeliani e dei civili palestinesi a Gaza, che ad oggi si trovano per volere di Israele senza acqua, cibo, elettricità e carburante. Se l’obiettivo dichiarato da Netanyahu è quello di “estirpare Hamas” dal territorio palestinese, quello taciuto invece è probabilmente ristabilire la deterrenza di Israele nella regione, all’indomani di un attacco che per la prima volta nella storia conta – almeno fino ad ora – più vittime israeliane che palestinesi. A sei giorni dall’incursione di Hamas, si pensa che l’attacco è destinato a segnare uno spartiacque nel conflitto israelo-palestinese: nei libri di storia ci sarà un prima e un dopo il 7 ottobre 2023.

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