Economia
Usa-Cina, chi vince economicamente? Krugman: guardare anche il potere di spesa militare
Di Giampiero Cinelli
Quando si ragiona di economia, oggi una delle domande più presenti è: chi predomina tra Usa e Cina? Il motivo per cui questa domanda è spesso discussa è perché un’unica riposta non esiste. Il premio nobel per l’economia Paul Krugman ha infatti provato a rispondere al quesito in un editoriale sul New York Times (edizione internazionale) intitolato “How super is any given superpower?”, spiegando che dipende da quale prospettiva guardiamo, arrivando a conclusioni anche non molto politically correct. Ma andiamo con ordine.
Se partiamo dal Pil dei due Paesi, e li valutiamo entrambi in una moneta di riferimento, mettiamo il dollaro, Krugman sottolinea che il Pil cinese è 18.1 trilioni mentre quello americano è 25.5 trilioni. Questo non basta a farsi un’idea. Perché come spiega il cattedratico, in Cina il costo della vita è più favorevole, cosicché a sua volta Pechino supera decisamente gli Stati Uniti nell’indice chiamato “Purchasing Power Parity” (Parità di potere d’acquisto).
Perché – sottolinea Krugman – ci interessa aggiustare la misura alla luce dei prezzi? Siccome il valore del Pil è spesso influenzato dai tassi di cambio (un Pil più basso può essere motivato principalmente da una svalutazione monetaria e non da minori capacità, come succede oggi per l’Europa) e bisogna capire dove ci siano migliori standard di vita, prendendo in considerazione due nazioni molto produttive. Insomma i cinesi hanno un costo della vita più basso, ma anche un livello di reddito più basso di quello degli Stati Uniti. Che a salari più bassi corrispondano prezzi più contenuti è noto secondo teorie economie ben consolidate.
Ma anche ciò è insufficiente ai fini dell’analisi. L’editorialista infatti continua osservando che, generalmente, le nazioni con un basso o un medio reddito come in Cina, hanno prezzi interni più vantaggiosi, soprattutto nei servizi che non vengono scambiati con l’estero, come ad esempio il taglio dei capelli. Ma al resto del mondo quanto interessa che i servizi dei cittadini cinesi siano economici? Ragionando in termini globali, quello che conta è il ruolo della propria moneta, la capacità di accesso ai mercati e le possibilità di aiutare altre nazioni.
Ed è qui che Paul Krugman svolge una considerazione molto forte, quando sostiene che, forse, l’unico aspetto per cui il potere d’acquisto derivante dal Pil conta davvero, è nella sua capacità di finanziare una guerra. «Chi mai avrebbe pensato di mettere in conto anche i costi di una guerra vecchio stampo? – scrive –. Ma i vecchi tempi sono tornati». Se prendiamo il caso della Russia, che nel 2019 aveva un’economia più piccola di quella dell’Italia, si vede che la sua capacità di spesa militare non pare comunque intaccata. In effetti la questione è anche questa, fa notare l’economista: quanto realmente crediamo che finanziare una guerra attuale sia una cosa economicamente complessa, che coinvolge l’alta tecnologia, e quanto invece è assimilabile a finanziare la produzione di merci usualmente vendute sul mercato mondiale?
Krugman lascia sospeso tale interrogativo dicendo che una prova potrebbe esserci in un eventuale conflitto tra Usa e Cina per Taiwan, pregando ovviamente che non accada mai. Ad ogni modo, se l’ultimo argomento messo sul tavolo resta indefinibile, lo studioso conclude che sia Washington che Pechino possono reclamare il primato economico, giacché ci sono diversi punti di vista da cui identificarlo.