In Italia, la proprietà immobiliare è assai diffusa e le oscillazioni del mercato delle abitazioni e degli edifici strumentali sono un indicatore importante per individuare eventuali squilibri macroeconomici. Inoltre, il settore immobiliare è sensibile alle innovazioni fiscali e normative e può rappresentare un volano per lo sviluppo e un elemento di stabilizzazione del ciclo economico. L’emergenza sta impattando in maniera molto incisiva anche questo mercato.
Facendo un passo indietro, prima dell’esplosione della pandemia, il mercato immobiliare dell’area euro stava attraversando una fase dinamica di crescita costante, anche se in Italia erano già visibili dei segnali di rallentamento. Stando ai dati di Eurostat, infatti, nel quarto trimestre 2019, i prezzi dell’immobiliare hanno subìto una contrazione pari allo 0,2% a fronte invece di una crescita media europea dello 0,7%.
Anche S&P aveva già diagnosticato che per il 2020 il contesto di stagnazione economica avrebbe influenzato negativamente l’occupazione e le prospettive di crescita del reddito, vedeva comunque elementi a favore dettati dall’accessibilità economica e dai bassi costi di indebitamento, che avrebbero sostenuto la domanda nelle regioni economicamente più dinamiche, mitigando il calo complessivo dei prezzi delle abitazioni.
Da questo scenario emerge che il Bel Paese è chiaramente entrato nell’emergenza già convalescente, ancora impegnato a smaltire gli shock asimmetrici della crisi del 2012 e per quanto riguarda il settore immobiliare la pandemia di Coronavirus sta sicuramente diventando un grosso problema. Stando ai dati, ad oggi la casa resta comunque un bene rifugio: il 31,2% della popolazione, pari a una persona su e tre sta ancora valutando di rimandare l’acquisto (le percentuali sono tuttavia più alte tra chi intendeva fare un investimento); sussistono ragioni molto chiare che spingono la popolazione a non posticipare un eventuale investimento e tra le principali vi è il timore che scoppi una grave crisi economica (dove sarà difficile richiedere prestiti e finanziamenti), l’attesa di un ribasso dei prezzi e la paura di perdere in futuro il lavoro.
Divergono, invece, le posizioni delle associazioni dei proprietari degli immobili che spingono affinché i potenziali venditori non svalutino troppo i prezzi. La fetta più grande di potenziali acquirenti in Italia resta quella dei percettori di reddito (in particolare a tempo indeterminato, dipendenti pubblici e pensionati), e poiché i primi a rischiare il posto di lavoro saranno proprio i titolari di un contratto a termine, che già in origine non avrebbero acquistato casa sino alla stabilizzazione, non dovrebbero riscontrarsi in concreto delle oscillazioni così forti. Analisi abbastanza spietata, ma realista. Inoltre, si stima che alla luce delle gravi perdite subite in Borsa dai risparmiatori italiani, non si registrerà un calo della domanda da parte dei piccoli investitori immobiliari; al contrario la volatilità del risparmio finanziario, evidenziato anche dalla recente perdita del 30% in Borsa, porterà una parte dei risparmiatori a rivalutare l’investimento nel mattone.
Non finisce qui. Il mercato immobiliare ricomprende anche il settore corporate, non residenziale, dove il volume degli investimenti ha scontato una deminutio del 27,9% nel primo trimestre del 2020, rispetto all’anno precedente e con un’incidenza maggiore nei settori chiave del direzionale e dell’alberghiero. Qui come nell’immobile connesso al settore retail, il lockdown ha indotto i vari operatori a rivalutare il concetto stesso di spazio. La mancata apertura di negozi, bar, ristoranti per lungo tempo potrà infatti ingenerare un’impossibilità per i proprietari al pagamento dei canoni di locazione, con il risultato di un abbassamento del costo degli affitti e anche di vendita dei locali commerciali.
Si aggiunga poi che il Coronavirus ha determinato un cambiamento di prospettiva nel mondo del lavoro. Il mondo dei servizi, degli uffici ha migrato le proprie attività direttamente da casa, limitando gli sprechi di tempo e molto spesso aumentando la stessa produttività. Sicuramente quando ritorneremo “vicini” verranno introdotti modelli di turnazione e maggiore flessibilità nello svolgimento delle mansioni, con una redistribuzione delle responsabilità. Qualora così fosse, probabilmente la domanda di spazi ad uso ufficio diminuirà.
Così, viceversa, aumenterà il ricorso all’e-commerce – da qui la consapevolezza da parte di numerosi retailer di non aver giocato d’anticipo sul proprio posizionamento online – e questo richiederà un ampliamento delle superfici per magazzini e logistica. Molti centri commerciali, supermercati hanno infatti già avviato programmi di consegne a domicilio su più larga scala, ma il modello attuale non sarà sostenibile nel lungo periodo. Per questo sarà necessario reinventare gli spazi e organizzare i prodotti.
È evidente che la crisi, sarà rottura col passato, ma anche opportunità per creare paradigmi nuovi non solo relazionali, ma di carattere organizzativo per interi settori dell’economia, tra cui l’immobiliare. Inoltre, qualora il distanziamento sociale e la paura per la pandemia dovessero protrarsi per lunghi periodi, molti potrebbero optare per svolgere attività fisica a casa piuttosto che in palestra, si ritaglierebbero spazi ricreativi più intimi con gli amici e la domanda si sposterebbe nuovamente dal commerciale al residenziale con nuovi spazi, anche aperti.
La crisi dunque, potrà potenzialmente ridurre la vivacità e il dinamismo del mercato immobiliare, ma non farà venir meno la voglia di avere una casa tutta per sé. Una domanda, più ridotta certo, ma nei fatti non verrà meno la funzione di “floor” dei prezzi, cosa che non può di certo dirsi per i titoli finanziari, al momento caratterizzati da notevole volatilità. In questo quadro di incertezza, probabilmente l’immobile verrà percepito come l’investimento più sicuro nel lungo periodo.
Articolo di Vanessa Gloria pubblicato su Il Giorno Dopo