Non proprio una corrispondenza di amorosi sensi. Potrebbe essere sintetizzata così la lettera dal Premier Conte in vista del Consiglio europeo di oggi. Soprattutto perché il Presidente del Consiglio ribadisce all’Ue che “l’Italia non intende sottrarsi ai vincoli, né intende reclamare deroghe o concessioni rispetto a prescrizioni che, finché non saranno modificate secondo le ordinarie procedure previste dai Trattati, sono in vigore ed è giusto che siano tenute in conto dai governi di tutti gli Stati membri”. Vista la scarsa crescita, Conte intende “accrescere la fedeltà fiscale”, dunque aumentare le entrate fiscali. “Per il 2020 il Governo ha ribadito che intende conseguire un miglioramento di 0,2 punti percentuali nel saldo strutturale di bilancio”. Ma come? “Il Programma di Stabilità prevede un aumento delle imposte indirette pari a quasi l’1,3% del PIL, che entrerebbe in vigore a gennaio”. Il che significa più tasse per un importo complessivo di 20-22 miliardi di euro. Non proprio una cifra banale.
Non solo. Conte precisa che “come dimostra il caso Grecia, la scelta di limitare l’azione di governance all’esclusivo e rigoroso rispetto delle regole di bilancio, senza tenere conto dell’impatto sociale sui cittadini degli Stati membri, si rivela drammaticamente controproducente”. Per questo auspica che “la nuova fase costituente dovrà porre nuovamente al centro il benessere economico e sociale dei cittadini europei: sicurezza sociale e creazione di lavoro, unite alla previsione di un’assicurazione europea contro la disoccupazione e un salario minimo garantito a livello europeo”.
Se da un lato è molto apprezzabile che un Paese fondatore dell’Ue come l’Italia spinga in là la visione riformatrice dell’Unione, dall’altro, vista la nostra condizione economica (crescita quasi zero, debito pubblico monstre e livello di tassazione dei cittadini tra i più alti al mondo) e il mancato rispetto di lungo corso dei parametri imposti dai Trattati, il punto politico sta tutto nelle ragioni di opportunità di tale scelta.