Ritiro a pochi passi dal traguardo. Questo in sintesi quanto fatto trapelare all’Ansa sui negoziati in corso tra Usa e Cina sui dazi commerciali. Il decimo round di negoziati era giunto “molto vicino al traguardo”, con la messa a punto del meccanismo di verifica dell’attuazione e rispetto degli accordi stessi. Tanto che Robert Lighthizer, rappresentante Usa per il Commercio lo aveva descritto come “molto simile a quello delle sanzioni, basato sul modello automatico di dazio a fronte di inadempimento contrattuale".
Poi la brusca frenata cinese, col vicepremier Liu He (capo negoziatore) che avrebbe affermato di avere fiducia nella Cina sul rispetto di implementazione con interventi regolamentari e amministrativi. Motivo del disimpegno i buoni dati economici del Pil cinese per il primo trimestre 2019, risultato in rialzo del 6,4% (su base annua), meglio del 6,3% atteso dagli analisti e in linea col quarto trimestre 2018. Una previsione confermata in termini di tendenza dai dati sull’interscambio commerciale di aprile: il surplus della bilancia commerciale di Pechino nei confronti di Washington ha raggiunto i 21,01 miliardi di dollari, in rialzo rispetto ai 20,5 miliardi di marzo. A fronte di un calo delle importazioni dagli Usa (-26%) scese a 10,3 miliardi di dollari, l’export cinese verso gli Usa è calato (-13%), ma attestandosi a 31,4 miliardi di dollari. Dai numeri sembra molto ben funzionare la strategia di Pechino del “China plus one”, che prevede una diversificazione delle fonti di approvvigionamento cinese.
La retromarcia cinese ha provocato il Presidente Trump, che ha dichiarato: “La ragione del passo indietro della Cina e del tentativo di rinegoziare l’accordo commerciale è la sincera speranza di essere in grado di negoziare con Joe Biden o uno dei Democratici molto deboli, e quindi continuare a derubare gli Stati Uniti (500 miliardi di dollari in un anno) per gli anni a venire”. Sembrava fosse amore, invece era un calesse.