Economia

Esiste un altro spread e fa molta paura agli Stati

23
Giugno 2022
Di Giampiero Cinelli

In generale gli italiani hanno sempre guardato con perplessità alla questione dello spread. Un indicatore che sembra troppo lontano dalla loro quotidianità, che riporta il differenziale di rendimento tra il principale titolo di Stato tedesco, il Bund, e il principale titolo italiano, il Btp, a 10 anni. Effettivamente lo spread non è affatto poco importante per le sorti degli italiani, ma c’è un altro spread, conosciuto da pochi e forse ancora più ignorato, che fa davvero tremare i polsi. Si tratta del differenziale tra i prezzi alla produzione e i prezzi al consumo. Il prezzo alla produzione è il costo che le imprese devono affrontare quando acquistano/importano materie prime e prodotti per fare le merci, mentre i prezzi al consumo sono il costo che i consumatori pagano quando comprano quelle merci. In sostanza il prezzo finale del bene su cui si calcola l’inflazione.

Nell’area euro questo spread è di ben 2.900 punti base. Siccome i prezzi alla produzione ad aprile si sono attestati al 37,2% e l’indice dei prezzi al consumo, ossia l’inflazione, è arrivato all’8,1% a maggio. Come potete intuire, quindi, esiste anche un’inflazione a monte, quella che colpisce le imprese quando creano i beni, che si unisce all’inflazione a valle, tanto temuta dalle nostre tasche. Sono numeri preoccupanti, dai cui deduciamo che la lotta all’inflazione intrapresa dalla Bce potrebbe richiedere molti più sforzi di quelli attualmente messi in atto. Nel fenomeno, c’è da considerare ovviamente il costo dell’energia, un fattore su cui si fa fatica a trovare soluzioni efficaci e strutturali e che i policy makers avevano sottovalutato, più tutta quanta la spirale dei prezzi che sta coinvolgendo tutte le altre materie prime. Per intenderci, un sacco di farina per un ristoratore costa in media 20 euro, oggi almeno 10 euro di più e ne va del conto al tavolo.

Negli Usa invece il problema c’è ma è molto più abbordabile. Prezzi alla produzione 10,8%, inflazione al consumo 8,6%. A conferma dell’analisi che circola secondo cui in America vi sia principalmente un’inflazione più da domanda e meno da costi, anch’essi comunque importanti. Cioè una crescita dei prezzi dovuta alla forte richiesta di beni, sintomo di un’economia in espansione, a differenza dell’inflazione da costi, generata unicamente dal rialzo delle materie prime e dei beni importati. Un moderato livello di inflazione da costi è addirittura desiderabile in un sistema economico.

La Fed può quindi ricorrere sostanzialmente al rallentamento dell’economia attraverso l’aumento dei tassi, mentre la Bce forse deve considerare anche altri metodi, sapendo, peraltro, che l’aumentare il costo del denaro adesso, in un’Europa già debilitata dalla guerra e dagli ancora presenti contraccolpi della pandemia, non farà che causare ulteriori effetti collaterali. Ecco perché a Francoforte ci si muove con molta più cautela che a Washington.

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