Economia

Poste, il Mef cederà quote. Giorgetti spiega l’operazione

27
Marzo 2024
Di Giampiero Cinelli

La cessione da parte del Mef di quote di Poste Italiane ci sarà e avverrà progressivamente, presumibilmente fino al 2026 in base al percorso delineato nella Nadef. Lo ha confermato il ministro dell’economia Giancarlo Giorgetti in un’audizione alla Camera alle Commissioni riunite di Bilancio e Trasporti. Attualmente tra Mef e Cdp la presenza dello Stato nell’azionariato è del 64%, il Mef ne detiene il 29% e se dovesse arrivare a cedere l’intera quota realizzerebbe un controvalore di 4,4 miliardi. Secondo Giorgetti l’operazione è utile alla riduzione del rapporto debito/Pil, che da programma deve restare sotto il 140%.

Contestualmente lo Stato procederà ad altre dismissioni di quote di società pubbliche, per un valore complessivo di 20 miliardi in tre anni (un punto di Pil), ma questo piano non riguarderà, come ha specificato Giorgetti, Monte dei Paschi, per la quale c’è un altro impegno specifico. Riguardo a Poste, la cessione concretamente si attuerà nel momento ritenuto più conveniente, valutando le quotazioni di mercato.

Il ministro non ha fatto mistero che Poste sia in un a fase molto positiva, avendo distribuito dividendi a beneficio del Mef, per la quota potenzialmente oggetto di cessione, di 259 milioni, destinati ad aumentare stando al nuovo piano industriale. È stato inoltre detto che il rapporto tra mancati dividendi e minori interessi passivi sul debito sarebbe negativo, ovvero Giorgetti ha spiegato, in parole povere, che lo Stato risparmierebbe meno di quanto avrebbe guadagnato (i minori interessi sarebbero di 200 milioni), tuttavia ha esortato i colleghi delle commissioni a vedere l’azione da un punto di vista non solo meramente contabile e a valutare in prospettiva l’incremento di valore di mercato di Poste (con il titolo che è già in un trend di crescita), allargando il flottante e lasciando spazio a investitori qualificati.

Lo Stato poi gioverebbe di una maggiore fiducia da parte dei mercati internazionali a cui si rivolgerebbe sapendo di essersi alleggerito, questa una linea politica che il ministro a Montecitorio ha voluto difendere, rispondendo agli interventi perplessi di alcuni colleghi e a chi gli chiedeva una relazione finanziaria più dettagliata degli effetti a lungo termine.

Facendo riferimento all’intero quadro di dismissioni il ministro ha rilevato: «Stime elaborate tenendo conto di questi fattori mostrano che l’attuazione del programma di dismissioni ipotizzato nella Nadef 2023 consentirà, nel complesso, di conseguire un risparmio di interessi passivi sul debito superiore alla perdita di dividendi percepiti relativamente alle quote di cessione previste».

«Occorre, comunque, ricordare che le risorse derivanti dai dividendi relativi a partecipazioni societarie concorrono al miglioramento dell’indebitamento netto soltanto per la parte di distribuzione del risultato operativo annuale, mentre eventuali dividendi straordinari o distribuzioni di riserve rilevano soltanto in termini di fabbisogno», ha aggiunto.

Come si evince dalla relazione, lo Stato non perderebbe il controllo della società e ne preserverebbe l’indirizzo strategico, anche grazie al controllo indiretto di Cassa Depositi e Prestiti, che resta al 35%. Verrebbe inoltre conservato di diritto il potere di veto sulle scelte più delicate, come quelle ad esempio rispetto alla tutela dei livelli occupazionali e le sedi postali disseminate sul territorio, che decine di migliaia per 120.000 dipendenti.

Altro aspetto importante sottolineato nell’audizione è che, ad ogni modo, nessun soggetto diverso dal Mef o da altri enti pubblici e da società controllate da enti pubblici, può detenere più del 5% del capitale di Poste. In questo modo Giorgetti ha voluto ribadire a chi glie lo ha interpellato che Poste rimane per il governo un asset strategico, negando i timori degli interlocutori secondo cui la presenza di nuovi azionisti di minoranza ma comunque forti possa condizionare la politica di Poste in senso contrario all’interesse generale.

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