Il picco di spesa dei fondi PNRR si raggiungerà nei prossimi due anni. Con risorse che superano i 45 miliardi di euro l’anno. Stiamo parlando in totale di quasi il 5% del nostro Pil. Questa la principale novità emersa dalla relazione semestrale della Corte dei Conti sul Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, presentata oggi a Montecitorio. A introdurre i lavori il Presidente della Camera, Lorenzo Fontana, che la ha definita “un’opportunità straordinaria per l’ammodernamento del Paese e per superare i divari che contrastano lo sviluppo e la crescita”
Ottimo 2022, semestre in corso di rincorsa
Nel secondo semestre 2022, nonostante le elezioni politiche e il cambio di governo, “sono stati raggiunti tutti i 55 obiettivi europei. Anche se le misure non possono considerarsi ultimate, perché necessitano ancora oggi di step realizzativi ulteriori”. Nel semestre in corso, invece “sono ancora da centrare 54 scadenze nazionali”.
Nodo personale in via di scioglimento
Secondo la Corte “le modalità di reclutamento del personale dedicato al Pnrr con formule non stabili hanno fatto emergere non poche difficoltà per le Amministrazioni, nel garantire la continuità operativa delle strutture che, al contrario, necessiterebbero di risorse certe per tutto l’orizzonte temporale del Piano. Su questa criticità è intervenuto il dl 13/2023 che permette di avviare procedure di stabilizzazione delle risorse professionali dedicate”.
Quel ramo di Piano che volge a Mezzogiorno
“La spesa delle Amministrazioni sostenuta fino alla fine del 2022 è stata di oltre 23 miliardi di euro”, spiega Angelo Maria Quaglini, consigliere delle sezioni riunite della Corte. Che poi aggiunge: “I dati Regis mostrano una territorializzazione del Piano: assegnati oltre 72 miliardi di euro di finanziamenti e la mappatura evidenzia che il 39,2% delle risorse sono andate al Sud e alle isole, il 30% al Nord e il 15% al Centro. Emerge quindi una corsia preferenziale per il Mezzogiorno.
Nessuna tensione con l’Europa
“Non ci sono tensioni con l’Europa”, tranquillizza il Ministro degli Affari Europei Raffaele Fitto in risposta sullo slittamento della consegna della terza tranche del Pnrr dopo la decisione di rimandare di una mese la fase di verifica da parte della Commissione europea degli obiettivi raggiunti a fine 2022. “Le tensioni temo qualche volta si vogliano costruire in Italia. Noi stiamo lavorando con una macchina in corsa con scelte che non sono nostre ma che noi puntiamo a realizzare e superare in questa fase, per poi passare alla seconda fase di rimodulazione del programma. L’obiettivo è quello di lavorare con spirito collaborativo con la Commissione. Questo governo non si pone il problema della scadenza nell’immediato, ma alla fine della legislatura, giugno 2026, quando finirà il Pnrr. La partita importante di questi giorni riguarda la flessibilità dell’uso delle risorse esistenti, che ci può consentire di utilizzarle come leva per sostenere il nostro sistema economico”.
Modificare l’impossibile
Alcuni interventi “da qui a giugno 2026 non possono essere realizzati” aggiunge Fitto. “L’orizzonte temporale di questo governo porta a fare una valutazione su come recuperare le risorse di quei progetti che non hanno una capacità realizzativa entro il 2026. Abbiamo questa opportunita’ ma non e’ per sempre”, conclude, sottolineando l’importanza di “valutare in modo oggettivo la necessità di modificare alcuni obiettivi e di cambiare una situazione che in alcuni casi ci porta a non spendere le risorse”.
Stress test dell’integrazione europea
“L’attuazione del Pnrr va sottratta alla polemica politica”, aggiunge Luigi Marattin, deputato della Commissione Bilancio della Camera (PD). “Nessuno ha mai detto che il piano non possa essere modificato; tutto quanto è possibile. A nostro avviso va convertito in crediti d’imposta. Il Pnrr è cruciale perché è lo stress test dei futuri step dell’integrazione europea”.