Economia
Piano di Bilancio, come il governo pensa di gestire la spesa
Di Giampiero Cinelli
Quest’anno, alla luce della riforma del Patto di Stabilità, la stesura della legge finanziaria si basa non più sul Def, ma sul Psb, ovvero il Piano Strutturale di Bilancio di medio termine, un documento attraverso cui il governo delinea l’andamento e le coordinate macroeconomiche da seguire nei prossimi cinque anni. Il Psb 2025-2029 che Giorgetti chiederà di approvare alla Camere è particolarmente importante, perché innanzi tutto è il primo, poi perché incorpora le nuove linee guida di finanza pubblica decise a Bruxelles, fermo restando che l’Italia dovrà quasi certamente uscire dalla procedura per deficit eccessivo, che la Commissione dovrebbe confermare.
La ratio
Nel Psb si tiene meno conto del potenziale di crescita annua (il molto criticato output gap) e più delle previsioni rispetto alla traiettoria del Paese in un orizzonte di quattro o sette anni. Fascia temporale nella quale l’Italia dovrà crescere ma anche ridurre il debito, almeno di un 1% del Pil ogni anno. Non è un compito facile, perché come sempre questi obiettivi devono conciliarsi con le condizioni macroeconomiche globali, i vincoli esterni e le esigenze della popolazione. L’elemento che diviene chiave nelle regole attuali è la traiettoria di spesa primaria netta, cioè la spesa pubblica che l’Italia effettua al netto degli interessi, degli effetti pro-ciclici e delle spese temporanee. Un parametro di conseguenza cosiddetto strutturale. Più si prevede che il Pil crescerà, più la spesa può salire, altrimenti si rischia di sforare le regole sul debito. Ad ogni modo l’Italia chiederà l’estensione del piano di bilancio e di rientro, da quattro a sette anni, con un tasso di spesa mai superiore al tasso di crescita potenziale del Pil nominale potenziale, come si legge nel Piano.
La strategia del Mef
In questo modo il Ministero delle Finanze pensa di poter rispettare gli impegni e controllare l’indebitamento. Anche se gli imprevisti non mancano mai. Un Pil sotto le attese, unito a una spesa contenuta, può portare a un minor gettito fiscale e quindi a un peggioramento del rapporto Debito/Pil. Per questo sono state poste le clausole di salvaguardia che l’Italia è pronta ad attivare nel caso.
Le previsioni
Stando alle norme, la traiettoria di spesa primaria netta deve attestarsi su una media del’1,5% in sette anni e il rapporto deficit-Pil deve stare entro il 3%, ma preferibilmente sotto. Dunque la Commissione europea qualche mese fa ha trasmesso all’Italia la sua analisi di quella che può essere la traiettoria di spesa netta nei prossimi anni, mantenendo una media del’1,5% ma, in relazione agli altri indicatori, prevedendo un debito/Pil che ruota attorno al 140% del Pil, restando al 142,7% nel 2031. Il governo ha allora avviato un dialogo con la Commissione che ha portato a un ricalcolo della traiettoria. Alla fine il Mef ha assicurato di impegnarsi a ridurre il disavanzo, ma assumendo una variazione di spesa netta che va dal 1,3% del 2025 al 1,6% nel 2026, fino al 1,9% del 2027. In questo modo, l’indebitamento in rapporto al prodotto interno lordo, dalle previsioni italiane, navigherebbe stabile sotto il 140%. Contestualmente, il rapporto deficit-Pil, cioè il saldo di bilancio, scende sotto il 3% nel 2026 (2,8%), consentendo di uscire dalla procedura per deficit eccessivo. Secondo Giancarlo Giorgetti la linea del Mef è comunque compatibile con gli obiettivi posti dalla Commissione e resa possibile dal miglioramento delle stime del Pil 2023, dal Pil nei prossimi anni oltre che dal calcolo di alcune variabili esogene come i tassi d’interesse (che dovrebbero allinearsi sotto il 3% secondo il Mef). Altro aspetto su cui il governo poggia la sua strategia, è senz’altro l’allargamento del Piano di rientro da 4 a sette anni.
Ovviamente per rispettare gli impegni presi bisognerà crescere. Per Palazzo Chigi l’arma principale resta l’implementazione del Pnrr, poi la messa a terra di riforme strutturali, prima fra tutti quella della giustizia.