Economia
Ocse, occupazione solida. Anche in Italia dove però resta il problema salari
Di Giampiero Cinelli
Come va mediamente il mercato del lavoro nel quadrante dei 38 Paesi Ocse? La situazione è stata messa nero su bianco nell’ultimo report sull’occupazione pubblicato dall’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, che annovera, tra gli altri, Stati Uniti, Francia, Italia, Germania, Giappone, Corea del Sud, Canada, Australia, Spagna e Regno Unito.
La media dell’occupazione
Dallo studio emerge che il mercato del lavoro sta mostrando una forte performance, con molti Paesi che attualmente stanno vivendo i loro più alti tassi di occupazione e parallelamente i più bassi di disoccupazione. A Maggio 2024 il tasso di disoccupazione dell’area Ocse è del 4,9% e, comparato al periodo pre-pandemico, le tendenze di miglioramento riguardano più le donne che gli uomini. Nell’area euro il tasso di disoccupazione a maggio 2024 è 6,4%.
La tendenza
In un contesto di rallentamento della crescita economica, il numero di posti vacanti per disoccupato si è attenuato negli ultimi trimestri, ma in molti paesi rimane al di sopra dei livelli pre-Covid. «Nel quarto trimestre del 2023 – scrive l’Ocse – tra i paesi con dati disponibili, il rapporto tra posti vacanti e disoccupati era inferiore al picco successivo al 2019, in tutti i paesi in cui era aumentato considerevolmente dopo la crisi del Covid-19».
La dinamica salariale
I salari reali stanno crescendo di anno in anno nella maggior parte dei Paesi Ocse, generalmente grazie alla dinamica di disinflazione, ma in molti Paesi sono ancora al di sotto dei livelli del 2019. I profitti stanno iniziando ad assorbire l’aumentato del costo del lavoro, in molti Paesi appare ancora possibile assorbire parte del costo salariale attraverso il profitto, specialmente poiché al momento non si ravvisa una spirale tra salari e prezzi.
Lavoro e transizione ecologica
«Nei Paesi Ocse, il 20% della forza lavoro è impiegata in occupazioni orientate all’ambiente, considerando anche lavori che non contribuiscono direttamente alla riduzione delle emissioni ma sono probabilmente richiesti perché forniscono beni e servizi necessari per le attività ecologiche. Al contrario, circa il 7% dei posti di lavoro si trova in settori ad alta intensità di gas serra.
Chi soffre di più la transizione
La transizione a zero emissioni nette induce una contrazione dei settori ad alte emissioni, che sono responsabili dell’80% delle emissioni di gas serra ma solo per il 7% dell’occupazione. I lavoratori di questi settori affrontano maggiori perdite di guadagno dopo il mutamento del loro lavoro, con una diminuzione media del 36% nell’arco di 5-6 anni dopo la perdita del lavoro rispetto al 29% in altri settori. Le politiche che sostengono i redditi e facilitano le transizioni lavorative sono essenziali per mitigare queste perdite e garantire un sostegno continuo alla transizione a zero emissioni nette.
La riqualificazione per le figure lavorative coinvolte nella transizione ecologica ha un grado di difficoltà variabile. Nell’insieme dei lavori a basse competenze, in virtù della transizione fa meno fatica a formarsi chi sta nel settore tecnico e del welfare, mentre per i lavori ad alte competenze hanno una riqualificazione agevolata soprattutto quelli che operano nel settore dei contenuti, del problem solving, delle risorse umane.
In Italia
L’Ocse ci dice che in Italia a maggio 2024 il tasso di disoccupazione era al 6,8%, più alto della media Ocse, mentre il tasso di occupazione ha raggiunto il 62,1%, mentre la media Ocse è 70,2% nel primo trimestre 2024. «Nonostante i recenti notevoli miglioramenti, l’Italia è ancora in ritardo rispetto a molti altri paesi Ocse in termini di occupazione femminile e giovanile, dove sono necessari ulteriori progressi per coprire il numero relativamente elevato di posti di lavoro vacanti».
«L’italia è il paese che ha visto il calo maggiore dei salari reali tra le maggiori economie Ocse. All’inizio del 2024, i salari reali erano ancora inferiori del 6,9% rispetto a quelli appena precedenti la pandemia. Grazie ai rinnovi dei principali contratti collettivi, in particolare nel settore dei servizi, il numero dei dipendenti del settore privato coperti da un contratto collettivo scaduto è sceso nel primo trimestre del 2024 al 16,7% dal 41,9% di un anno prima. Ciò ha contribuito a spingere la crescita dei salari negoziati al 2,8% rispetto all’anno precedente. Nel complesso, si prevede che la crescita dei salari reali rimarrà contenuta nei prossimi due anni».
«Inoltre si pensa che in Italia i salari nominali (redditi per dipendente) aumenteranno del 2,7% nel 2024 e del 2,5% nel 2025. Sebbene questi aumenti siano significativamente inferiori rispetto alla maggior parte degli altri paesi Ocse, consentiranno ai lavoratori italiani di riconquistare parte del potere d’acquisto perduto, siccome l’inflazione dovrebbe essere pari all’1,1% nel 2024 e al 2% nel 2024».
I lavoratori italiani e il Green
«In Italia il 19,5% della forza lavoro è impiegata in occupazioni green. Di queste, solo il 13,7% sono veramente “occupazioni verdi nuove o emergenti”. Al contrario, circa il 5,1% dell’occupazione italiana è occupata in lavori ad alta intensità di emissioni. La quota più alta di occupazioni orientate all’ambiente si trova in Abruzzo, mentre la quota più alta di occupazioni ad alta intensità di gas serra si trova in Sardegna». Secondo Ocse i programmi di supporto alla riqualificazione professionale in chiave green lascia a desiderare e un lavoro a bassa competenza che non rispetta i criteri di sostenibilità dovrebbe in futuro essere pagato meno di altri lavori a bassa qualifica.