Martedì il Consiglio dei Ministri ha approvato il Documento di economia e finanza (DEF), il testo dove ogni anno ad aprile il governo definisce le stime ufficiali sull’andamento dell’economia del paese. Nello stesso giorno il responsabile del dossier, il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, ha illustrato in una conferenza stampa il contenuto del documento che quest’anno risulta alquanto anomalo. Dalle anticipazioni diffuse dal ministero, si prevede una crescita del Pil del 1% nel 2024 e dell’1,2% nel 2025, mentre il deficit/Pil si attesta al 3,7% e il debito al 138,9%. Ma ad attirare l’attenzione mediatica, oltre ai numeri non particolarmente incoraggianti, è stato anche un altro fattore. Il Def di quest’anno contiene solo le previsioni tendenziali dell’economia italiana, senza includere quindi l’effetto che le misure che il Governo vuole introdurre o modificare possono produrre sulla crescita del Pil o sull’evoluzione del debito pubblico. In questo modo, ad oggi, il Governo Meloni non ha preso impegni vincolanti in vista del 2025 e, soprattutto, non ha indicato come intenda trovare i soldi per rifinanziare le misure che scadranno alla fine del 2024.
La scelta di non inserire stime programmatiche, ma solo tendenziali, è stata giustificata dal Ministro rispetto alle modifiche delle regole europee sulla politica fiscale e finanziaria che gli Stati membri devono rispettare. Tra giugno e luglio, infatti, saranno pubblicate le linee guida che indicheranno nello specifico come applicare le regole del Patto di stabilità e crescita, che definiranno per ciascun paese dell’Unione una sorta di traccia da seguire per tenere in ordine i conti pubblici. Fino ad allora, secondo il ministro, mancano le istruzioni adeguate per maggiori dettagli. Del resto, l’atteggiamento “attendista” di Giorgetti non rappresenta di per sé un problema ed è stato concordato con la Commissione Europea che avrebbe concesso una deroga analoga anche ad altri paesi con le stesse difficoltà. In ogni caso, ha rassicurato il Ministro, entro il 20 settembre 2024 il Governo dovrà pubblicare il suo nuovo programma strutturale di economia e finanza nella sua interezza.
La decisione è quindi posticipata a dopo le elezioni europee, che in questo momento sono al centro dei dibattiti interni dei paesi membri dell’Unione. In Italia, il confronto si è radicalizzato in tutte le coalizioni e anche la maggioranza fa fatica ad apparire in armonia sulle candidature. Dai toni sempre più accesi tra la Schlein e Conte, che appaiono oggi sempre più distanti soprattutto alla luce del caso pugliese, alle diatribe interne al centrodestra dove si acuiscono le tensioni tra Lega e gli alleati. D’altronde la prospettiva del sistema proporzionale di voto, che caratterizza le elezioni europee, non esalta tanto gli schieramenti uniti quanto piuttosto i singoli partiti: se nei paesi membri le formazioni tendono così in modo naturale ad isolarsi, le nostre, di certo, non fanno eccezione.
A far discutere la maggioranza in vista delle elezioni di giugno, anche il tema della Par condicio in TV che Palazzo Chigi vorrebbe introdurre prima delle europee. Nella serata di martedì, infatti, la commissione bicamerale di vigilanza Rai – l’organo collegiale del parlamento che ha il compito di sorvegliare l’attività della tv pubblica – ha approvato un emendamento che modifica il funzionamento della Par Condicio prevedendo più spazio per i membri del governo durante la campagna elettorale. L’emendamento in questione proposto da alcuni partiti di centrodestra è stato molto contestato dalle opposizioni, unite sul tema, in quanto favorirebbe la maggioranza e offrirebbe uno spazio troppo ampio agli esponenti di governo. La minoranza ha dichiarato che darà battaglia per evitarne l’approvazione definitiva, ma i partiti di centrodestra non sembrano volersi tirare indietro: è probabile che la questione genererà sempre più tensioni con l’avvicinarsi del voto europeo.