Economia

Made in Italy, obiettivo 700 miliardi di export, è tempo di fare quadrato

16
Aprile 2025
Di Giampiero Cinelli

L’Italia è diventata la quarta nazione al mondo per export, e nonostante una lieve flessione dello 0,4 nel 2024 continua ad essere protagonista nel commercio internazionale, con i suoi 623 miliardi di esportazioni che si vorrebbe riuscire a portare a 700 nei prossimi tempi. Oggi però l’obiettivo è reso più incerto dal contesto internazionale, con lo spauracchio dei dazi di Trump e la paura di una qualche forma di protezionismo cinese. Cosa fare dunque con il 30%-40% del Pil rappresentato dall’export, composto prevalentemente da tecnologia e innovazione, prodotti chimico-farmaceutici, agroalimentare, moda e tessile, veicoli e mezzi di trasporto, arredamento e design?

Le associazioni in campo
Su una strategia e sulla cooperazione ragiona la Made in Italy Community fondata da Roberto Santori, che ha parlato a Largo Chigi, il format in onda su Urania Tv: «La Made in Italy Community nasce con il nobile intento di aiutare le nostre imprese a fare squadra con le istituzioni e le associazioni e con tutto il sistema Paese. Da quando è arrivato Trump il valore del dollaro è sceso del 10% e quindi abbiamo una tassa in più da pagare che è il valore dell’euro, molto più alto rispetto al dollaro. Dunque, la Community nasce con l’idea di creare una sinergia anche per andare a conquistare nuovi mercati: non c’è solo l’America – che è un mercato importantissimo – ma anche altri mercati che crescono a doppia cifra e chiedono made in Italy tutti i giorni: dalla Turchia al Vietnam, all’Arabia Saudita, il Nord e il Sud Africa, i Balcani», ha detto Santori, che ha concluso: «L’Italia, di fatto, è presente in tutti i settori merceologici, prima in Europa al mondo. Questo significa che i nostri prodotti sono in una classifica nei primi quattro cinque posti in tutti i settori. Serve fare quello sforzo in più per conquistare un più 15% rispetto ai miliardi di export che facciamo oggi. La seconda è che abbiamo bisogno di un sistema che faccia maggiore comunicazione. Ma la cosa più importante è lo snellimento dei processi burocratici: dunque, aiutare le imprese ad essere veloci e a supportare i cambiamenti velocemente».

Non sottovalutare l’ICT
Dai dati Istat e Sace emerge che nel 2024 la principale voce di export è quella relativa ai macchinari e alla tecnologia. L’Italia insomma ha qualcosa da dire anche in un segmento di mercato dove dominano i colossi americani e asiatici. Ma anche qui ci vuole visione e strategia. «Anche servizi innovativi come quelli ICT sono importanti per l’export, noi facciamo innanzi tutto prodotti che poi si legano a un servizio. Sono tante le Pmi impegnate sull’innovazione, la nostra azienda fa sistemi di emergenza sanitaria da 50 anni e accompagniamo nell’ottica di filiera anche le grandi aziende nel mercato globale, ha detto a Largo Chigi Vittoria Carli, Presidente di ISED Spa. Carli ha aggiunto: «Dovremo pensare alla sovranità dei dati, a come poterli usare e trattenere in un sistema interoperabile e l’Italia è capace di farlo. Su questo vogliamo dare il nostro contributo. Si pensi che il Lazio è la prima regione italiana per export di ICT».

L’esempio di Commodore. Quella italiana
Un esempio di know-how tecnologico di stampo italiano è quello di Commodore Industries, un marchio che tutti ricordano che fu americano e che appunto è stato oggi rilevato da imprenditori italiani. Così il Ceo di Commodore Luigi Simonetti: «Abbiamo iniziato un percorso per riportare in vita il marchio ma anche per proiettarlo nel futuro, con la filosofia Commodore. I laptop prima erano fatti in Germania ora ad Orvieto, montando un processore Snapdragon assemblato qui. Dobbiamo competere nel mondo con le major, dunque è indispensabile puntare anche sulla qualità del design made in Italy e sul contatto con il cliente. Pensare meno a stare sui grandi canali di distribuzione ma portare le persone nei nostri negozi». Sulla questione dei dazi Simonetti ha spiegato: «Abbiamo superato le tensioni nella filiera commerciale grazie alle relazioni internazionali, recuperando materiale per andare in produzione con due linee. Oggi conviene fare magazzino e ad ogni modo ci stiamo internazionalizzando, siamo presenti in Cina e Usa».

Il bisogno di formare i giovani
Made in Italy è anche bellezza e stile. Ne ha portato la testimonianza Alessandro Marinella, General Manager dell’azienda tessile napoletana E. Marinella, famosa per le cravatte. A Largo Chigi Alessandro Marinella ha espresso alle istituzioni le più attuali esigenze delle Pmi: «L’Italia non è un paese ricco di materie prime: noi sappiamo fare bene le cose, è il nostro know how ed è ciò che ci ha contraddistinto per tutti questi anni. Io sono cresciuto in un’azienda di famiglia con una storia di 111 anni, e per 90 di questi siamo stati un negozio di venti metri quadri a Napoli, quindi nel sud Italia. E il fil rouge di tutti questi anni è stata la manifattura. Oggi si parla tanto di fuga di cervelli quando i miei coetanei – finiti gli studi – vanno all’estero. Lo stesso vale per i prodotti creati in Italia, quando sono esportati: il loro valore è portato all’estero. Noi vogliamo continuare a costruire una storia di eccellenza ma per farlo, abbiamo una richiesta per le istituzioni molto semplice: ricevere più supporto nella formazione delle nuove generazioni. Tutti i miei coetanei hanno studiato per occupare ruoli apicali nelle aziende: non sento nessuno dire ‘voglio diventare un sarto’ o ‘un cuoco’. Ma quale sarà il futuro del made in Italy se non ci sono giovani che vogliono continuare ciò che ha reso grande l’Italia? Chiediamo alle istituzioni di essere vicine alle piccole e medie imprese a affiancarle in questo passaggio generazionale», ha concluso.

La puntata integrale di Largo Chigi