Economia
Lotta all’inflazione: la Fed alza i tassi Usa dello 0,50%. Bce al bivio
Di Massimiliano Mellone
La Federal Reserve mercoledì ha alzato i tassi di interesse di mezzo punto percentuale, portando il costo del denaro in un intervallo compreso fra lo 0,75% e l’1 per cento. Si tratta dell’incremento più marcato dei tassi di interesse dal 2000, e della prima volta dal 2006 che rivede al rialzo i tassi in due riunioni consecutive: una mossa aggressiva per fronteggiare l’inflazione. Dopo l’annuncio i mercati azionari sono balzati in alto, mentre i rendimenti dei Treasury hanno ripiegato dai loro precedenti massimi.
Il presidente della Fed, Jerome Powell, ha affermato che l’inflazione viene ritenuta troppo elevata e, pertanto, la banca centrale Usa si sta muovendo rapidamente per abbattere il costo della vita. Powell ha constatato il peso dell’inflazione sulle persone a basso reddito, sottolineando il forte impegno a ripristinare la stabilità dei prezzi. Secondo le osservazioni del presidente, questo probabilmente significherà ulteriori aumenti di 50 punti base nei prossimi meeting.
A contrastare la corsa dei prezzi sarà anche la riduzione del bilancio dell’istituto, salito a 9 trilioni di dollari per sostenere l’economia durante la crisi. La Fed inizierà a diminuire i Treasury e titoli garantiti da ipoteca che possiede a un ritmo mensile iniziale combinato di 47,5 miliardi di dollari, aumentando dopo tre mesi a 95 miliardi.
Cosa farà invece la Bce?
Secondo il focus del report congiunturale a cura del Centro Studi di Confindustria pubblicato il 23 aprile, i tassi di interesse in Europa resteranno fermi ancora per poco. Infatti l’analisi ricorda che nella riunione di metà aprile la Bce ha quasi confermato la fine del QE nel 3° trimestre 2022: dopo il taglio a 20 miliardi a giugno, gli acquisti di titoli potrebbero scendere a zero a luglio o nei mesi seguenti. Non si è ancora mossa, invece, sul tasso ufficiale a breve, che è fermo a zero (-0,5% sulle riserve delle banche), distanziandosi dalla Fed che ha già deciso a marzo il primo rialzo. Il rapporto sottolinea però che la forward guidance della Bce lega i rialzi dei tassi proprio al timing del QE: indica che questi saliranno “qualche tempo dopo” la sua fine. Christine Lagarde ha chiarito in aprile che questo può significare una settimana o diversi mesi. Quindi, se il QE terminerà davvero nel 3° trimestre, i tassi potrebbero iniziare a salire negli ultimi mesi del 2022 o al massimo a inizio 2023.
“In aprile il Consiglio Direttivo della Bce ha deciso che gli acquisti di attività termineranno nel terzo trimestre. A mio parere, non c’è motivo per cui questo non dovrebbe accadere nel mese di luglio. Quanto ai tassi, questi aumenteranno anche se non è stato deciso precisamente quando. Potrebbe essere tra mesi, settimane o giorni. Luglio è possibile, ma questo non vuol dire che sia probabile”, ha recentemente affermato il vice presidente della Bce Luis de Guindos, durante una recente intervista al El Correo. Anche per Isabel Schnabel, componente tedesca del Comitato esecutivo della Bce in una recente intervista a Handelsblatt, allo stato attuale un rialzo dei tassi di interesse nell’area euro a luglio “è possibile”, sul poi “si vedrà” in base agli sviluppi dei dati, posto che i tassi sono così bassi che anche con alcuni rialzi resterebbero favorevoli all’attività economica.
Il Centro Studi di Confindustria evidenzia che i margini di manovra della Bce sono stretti. L’economia europea, più di quella USA, è colpita dal conflitto in Ucraina, che ha accresciuto i rincari delle commodity, la scarsità di materiali, l’incertezza, e creato nuovi vincoli all’export: ci sarebbe bisogno di misure espansive, commenta il rapporto. Ma quegli stessi rincari di energia e altre commodity hanno fatto balzare l’inflazione (+7,5% a marzo) e secondo gli analisti dell’associazione degli industriali una stretta monetaria, cioè un rialzo dei tassi, potrebbe frenare solo parzialmente i prezzi, ma abbatterebbe ancor più il Pil.
Mentre la Bce tiene fermi i tassi ufficiali, i tassi di mercato a lungo termine nell’Eurozona stanno già salendo rapidamente. Ad esempio, il rendimento del decennale italiano ieri è salito al 2,954%, sui valori di fine 2018-inizio 2019, e il differenziale tra Btp e Bund è salito a 198,5 punti, sui livelli di fine maggio 2020. Come ricorda il Centro Studi di Confindustria, l’aumento dei tassi a lunga scadenza non è estraneo alle mosse della Bce.
Il report sottolinea che il rialzo dei tassi a lungo termine è un problema per l’Italia. Farà crescere gradualmente la spesa per interessi, man mano che le nuove emissioni avverranno a tassi più alti. Perciò, l’Italia avrà meno spazi di bilancio per mettere in campo una nuova manovra espansiva di finanza pubblica.