L’impietosa radiografia dell’economia italiana tratteggiata e diffusa mercoledì dalla Commissione europea costituisce un brusco risveglio dopo il lungo periodo di stasi proseguito sino al voto europeo del 26 maggio. Una sveglia sicuramente sgradita dopo che per oltre un mese, come da tradizione, i toni e le ragioni della campagna elettorale avevano catalizzato ogni cosa nella politica italiana, fino a congelare del tutto l’attività dell’esecutivo. Le raccomandazioni all’Italia della Commissione sono il frutto di un’analisi che avrebbe tenuto conto del programma nazionale presentato ad aprile e delle relazioni pubblicate dalle stesse autorità europee a inizio anno. Il fatto è che al di là del peso specifico dei singoli numeri, la complessità delle indecifrabili regole di bilancio europee è tale da farne in primo luogo degli strumenti affatto neutrali sottoposti alla discrezionalità politica delle autorità di Bruxelles, tramite cui aiutare i governi amici oppure sanzionare quelli ostili. Come appunto l’Italia.
Oggi le raccomandazioni europee sono dunque un monito rivolto al nostro Paese circa l’inderogabilità di obblighi pattizi sicuramente non eludibili e il cui peso specifico travalica di molto la mera in- fluenza di una Commissione comunque in uscita. Come da tradizione per le fasi di stanca nell’attività del “governo del cambiamento” e, forse, fiutando il montare della tempesta imminente, a inizio settimana il primo ministro Giuseppe Conte ha lanciato un ultimatum ai suoi litigiosi referenti partitici chiedendo loro la fine delle “polemiche sterili e inutili” e un’assunzione di responsabilità troppo a lungo rimandata. L’avvocato del popolo ha quindi preteso un mandato pieno per condurre le trattative con Bruxelles, allineandosi totalmente alla posizione del capo dello Stato che da tempo invoca toni più concilianti nel dialogo con le autorità Ue. Il fatto che la contrapposizione Lega-M5s avesse quasi raggiunto un pericoloso punto di non ritorno è certificato dalla pace armata siglata in fretta e furia da Matteo Salvini e Luigi Di Maio a poche ore di distanza dalla sonora bocciatura europea. Soltanto il tempo dirà se il faccia a faccia tra i due vicepremier avrà saputo seppellire gli strascichi della campagna elettorale e del voto di fine maggio, che ha completamente stravolto i loro rapporti di forza. Il leader del Carroccio si è dato 15 giorni di tempo per verificare se l’esecutivo è realmente in grado di sopravvivere, mentre il capo politico dei Cinquestelle è alle prese con un partito ancora sotto shock per il tracollo elettorale.
L’accordo sui contenuti del dl Sblocca cantieri e la sua approvazione in prima lettura al Senato (giovedì) sono il segnale che per il momento il temuto casus belli per far saltare l’esecutivo è stato disinnescato. A stretto giro di posta c’è ora la possibilità di assistere a un parziale rimpasto della compagine di governo. Se il Movimento non intende cedere su Difesa (Trenta) e Ambiente (Costa), ben più precaria appare la casella delle Infrastrutture, con il ministro Toninelli che potrebbe essere costretto al ruolo di capro espiatorio dei 5Stelle dopo i tanti “no” all’alleato. La Lega da par suo non vuole cogliere la mela avvelenata del Mef e ha rivendicato il dicastero degli Affari europei, rimasto va- gante dopo l’uscita di Paolo Savona.
Alberto De Sanctis