Dopo la svolta a sorpresa di un paio di settimane fa con l’atteso via libera di Silvio Berlusconi al fatidico negoziato Salvini-Di Maio, il lungo stallo che ha congelato la politica italiana dalla sera delle elezioni si è dissolto nel momento in cui mercoledì sera il Capo dello Stato Sergio Mattarella ha affidato al giurista pugliese Giuseppe Conte il compito di formare un nuovo esecutivo. La mossa di Mattarella ha sgomberato il campo dalle perplessità e dalle resistenze che in un primo momento sembravano poter fermare lo storico approdo a Palazzo Chigi di un cittadino privo di qualsiasi esperienza politica e amministrativa, inaugurando una fase nuova nella storia della giovane XVIII Legislatura. Dovrà passare ancora altro tempo prima di poter determinare a fondo la bontà di una scelta che ha comunque del rivoluzionario e che per molti versi appare ineluttabile se si tiene conto del fatto che i due azionisti di Conte vantano oltre la metà dei consensi nel Paese. La partita si è spostata da subito sulla composizione della squadra di governo in attesa che il professore pugliese sciolga le riserve sull’incarico. Nel mentre prosegue una ruvidissima contesa fra il Capo dello Stato e i leader di M5s e Lega, rei di aver imposto “inammissibili diktat” al presidente del Consiglio e al presidente della Repubblica “nell’esercizio delle funzioni che la Costituzione attribuisce loro”.
In ballo ci sono i nomi dei ministri, a cominciare da quelli strategici come Interno, Difesa, Esteri e soprattutto Economia, su cui il Colle non intende rinunciare ad aver voce in capitolo. A ben guardare però, la tensione istituzionale di queste ore non andrebbe circoscritta a una mera questione di nomine. Ribadendo le prerogative costituzionali e con esse anche la linea tracciata decenni orsono dai padri costituenti, Sergio Mattarella ha ingaggiato con 5Stelle e Lega una vera e propria battaglia di posizione dal cui esito dipende la possibilità di intestare a Giuseppe Conte tutta l’autorevolezza e il margine di manovra a lui necessari per farsi pienamente carico delle responsabilità commisurate al ruolo di primo ministro. Con il governo atteso da partite cruciali dentro e fuori i confini nazionali, sarebbe deleterio per il Paese presentarsi agli appuntamenti cruciali con l’immagine di un premier palesemente eteroguidato oppure, peggio ancora, ostaggio dei suoi referenti politici.
Di qui i timori di Salvini per la costituzione di un possibile asse tra Conte e il Quirinale che depotenzi l’influenza del segretario di partito. Il precedente è recente e risale a inizio 2017, quando il novello premier Paolo Gentiloni riuscì a sfilarsi gradualmente dall’abbraccio di Matteo Renzi fino a estendere sensibilmente la durata di un esecutivo battezzato a quel tempo come di rapida transizione dopo il fiasco del referendum. Frattanto, pronunciando parole inedite per un primo ministro incaricato, Conte si è cimentato in una complessa piroetta dialettica: da un lato, assicurando fedeltà alla tradizionale collocazione internazionale dell’Italia; dall’altro, promettendo che chiederà la fiducia al Parlamento sulla base di un programma fondato sul contratto Di Maio- Salvini. A dimostrazione degli interessi con cui sta già facendo i conti.
Alberto de Sanctis