Economia
In Italia il risparmio continua a calare, mentre si fa sempre più ricorso al salvadanaio
Di Giuliana Mastri
Lavorare ed essere (quasi) poveri. Questo fenomeno macroeconomico era già stato evidenziato da tempo, divenendo interesse anche di sociologi affermati come Zygmunt Baumann, il quale ammoniva sulle ricadute psicosociali di una condizione in cui il tipo di vita che si conduce è solo apparentemente alla nostra portata. Abbiamo cercato di non preoccuparci troppo, facendo leva sul credito bancario e su un commercio mondiale vivace. Ma adesso, i dati tornano a bussare alla porta. Ricordandoci che dal 2019 ad oggi, in Italia la percentuale di persone che devono ricorrere al loro risparmio per le spese è aumentata dall’11% al 17%. E quelli che hanno dovuto chiedere un prestito sempre per le spese correnti sono aumentate dal 2% al 6% rispetto al 2020.
L’Italia non è, tuttavia, un paese povero. Nel 2022 l’86% delle persone è riuscito a mettere da parte dei soldi. Tuttavia coloro che riescono a risparmiare senza rinunce sono il 49% nel 2022, mentre erano il 58% nel 2020. Sale anche dal 30% al 37% la percentuale di persone che dichiara di non vivere tranquilla se non risparmia qualcosa ogni mese. La capacità di risparmiare è comunque in discesa, sempre più persone sono in così grave crisi economica da non riuscire, anche se volessero, a mettere da parte.
Le brutte notizie arrivano dal rapporto Fragilitalia 2022 di Legacoop e Ipsos, secondo cui quasi 8 italiani su 10 esprimono un giudizio negativo sulla situazione economica del Paese e 4 su 10 ritengono che la situazione economica della loro famiglia peggiorerà nei prossimi mesi. Senza considerare il fattore stressante della geopolitica, elemento ora foriero di preoccupazione a differenza del passato in cui non veniva molto considerato. Infatti, vista la situazione attuale, il 39% degli italiani ha intenzione di ridurre i consumi per aumentare il risparmio, il 38% ritiene che perderà parte del proprio potere d’acquisto e il 32% teme che i suoi risparmi perderanno valore. Proprio in situazioni come questa sale l’attenzione verso le strategie d’investimento finanziario, utili a tutelare parte del capitale dall’inflazione, con la speranza di farlo fruttare, oltre a semplicemente preservare delle risorse da non spendere e utilizzare in futuro.
I bei tempi andati
Fossimo in un altro paese, magari uno di quelli anglosassoni, probabilmente questi dati non desterebbero molto scalpore. Questo perché altrove vige una mentalità economica più orientata al debito privato. Cioè si spende, anche grazie a strumenti forniti appositamente, per acquistare servizi e beni. In Italia invece le spese sono sempre state finanziate in buona parte dalle riserve. E questo approccio non è mai stato screditato. Ha costruito, anzi, il mito degli italiani popolo di risparmiatori – sempre meno mito e sempre più realtà supportata dai dati. Questo, inoltre, anche a dispetto del fatto che le cose stanno cambiando e la propensione al risparmio degli italiani sia crollata.
Non siamo più negli anni ‘90, quando il risparmio delle famiglie sfiorava quasi il 20%. Secondo i dati Ocse nel 1995 l’Italia si collocava al primo posto fra i paesi dell’Organizzazione per tasso di risparmio: il 16% del reddito totale disponibile annuale non veniva consumato. Oggi invece il tasso di risparmio italiano è assai più basso e nelle sue fluttuazioni non supera al massimo il 10% pro capite per le fasce più avvantaggiate. Si comincia quindi ad invidiare l’11% dei tedeschi. La media dell’area euro è il 6%. Ovviamente si tratta dell’effetto delle due crisi economiche del 2008 e del 2011, esacerbate dai difetti interni del nostro sistema produttivo. A cui si aggiungeranno le conseguenze della pandemia.