Economia

Le diverse facce della ripresa economica. Intervista a Mariangela Pira (Sky TG24)

23
Agosto 2021
Di Marco Cossu

In un’estate in cui a farla da padrona è la politica estera, la giornalista di Sky TG24 Mariangela Pira grazie alla sua esperienza internazionale ha le idee molto chiare. Dalla ripresa economica post Covid al ruolo internazionale di Mario Draghi, passando per le elezioni tedesche e il tramonto dell’era Merkel. Dal posizionamento delle superpotenze alla luce delle notizie dall’Afghanistan. Un’intervista di The Watcher Post a tutto campo, diretta e sincera.

Che tipo di ripresa economica stiamo vivendo, è una ripresa reale?
«Gli economisti ci dicono che negli Stati Uniti non si vedeva una ripresa simile dalla crisi del ‘29. Stessa cosa si dice per la Cina. La realtà ci racconta cose diverse. Per esempio i dati macroeconomici della Cina non sono all’altezza di quelle che erano le premesse. Tutti si aspettavano una ripresa. Quando scendi così in basso è impossibile che non ci sia. Ma la verità è che le persone hanno paura di uscire fuori. Si ha quindi una percezione del consumatore molto diversa da quella sperata. Un secondo aspetto riguarda i prezzi. Si è creato a livello globale un “imbottigliamento” della catena di controllo e distribuzione. Viviamo in un mondo globalizzato e molte delle produzioni sono altrove rispetto a noi, questo crea degli imbottigliamenti legati a tante cose. Ricorderete benissimo il blocco della nave nel canale di Suez o il fatto che ci siano dei focolai in Cina con conseguenti controlli. Tutto si ferma.

Cosa accade? Spesso i container all’interno delle navi partono vuoti. Il costo delle merci quando arrivano è molto più alto rispetto al solito. Il costo di un nolo – il passaggio nave, che sarebbe un passaggio nave all’interno di queste navi container – secondo i dati ufficiali è aumentato rispetto all’anno scorso del 600%. Alcuni stimano addirittura il 1200%. C’è quindi oltre ad una speculazione un problema contingente, le materie prime sono sempre meno, quando arrivano costano di più e si fatica ad averle. Questo è il grande problema, quando gruppi come Stellantis, o Volkswagen ci dicono che devono chiudere alcuni impianti è perché mancano le materie prime. E’ una situazione evidentemente preoccupante che non fomenta la ripresa, anzi la ritarda. Le premesse ci sono, però ci stiamo confrontando con una realtà del tutto nuova».

Nel tuo ultimo libro “anno zero d.C.” – scritto in mesi durissimi – ho avuto molta difficoltà nel trovare la parola “crisi”. Sei ottimista? Perché?
«Stiamo parlando di un libro fatto durante e il prossimo sarà sul post. Lo chiamo d.C. perchè l’anno scorso è stato una sorta di spartiacque, si cercava di capire quali fossero le opportunità. Le opportunità ci sono. Immaginiamo ad esempio a tutte le società che si occupano di Internet, o di collegamenti online. E’ ovvio che cresci. Questo perché è cambiato totalmente il modo di intendere le cose. Alcuni, come Netflix o Amazon, la crisi non l’hanno proprio vista anzi ci hanno guadagnato. Chi lavora da casa, invece, aumenta o migliora il proprio spazio e questo permette il continuo acquisto di prodotti per la casa. Per il consumatore che acquistava in modo tradizionale sono invece cambiate molte cose.

Non ho nominato la parola crisi perchè di fatto l’anno scorso è stato un anno sui generis. Le banche centrali alimentano il sistema e i governi danno sostentamento ad una popolazione che non lavora – mi riferisco a misure come alla Cassa integrazione. Noi non abbiamo vissuto una vera e propria crisi. La crisi la vivremo successivamente se non verrà incanalata bene la ripresa». 

Su cosa deve puntare il nostro Paese in una fase come questa?
«Domandone. La cosa importante è che abbiamo la persona giusta al posto giusto. Parlo di Mario Draghi. Quando parlo con imprenditori, grandi e piccoli, mi dicono che accendono il cero la mattina perchè c’è lui. Io ora starei attenta. Ci sono presidenti del consiglio che sono molto più politici, o esperti di geopolitica, o statisti veri e propri e che hanno differenti expertise. Credo che non sia un compito facile neanche per lui. Faccio un esempio: le nostre imprese non possono competere all’estero al pari delle tedesche. Loro hanno meno burocrazia. Se non c’è la base per migliorare allora diventa inutile foraggiare con tanti soldi. La ripartenza non c’è e rimane il Paese farraginoso che è stato sino ad oggi. Il punto di vista degli analisti è diviso. Alcuni bocciano molte parti del Recovery Plan a causa della quantità dei progetti che minano la sistematicità e la semplificazione. Altri invece pensano che sia molto ambizioso lato riforme. Tanto che, stando alle parole di un economista della Bocconi, la realizzazione di solo un quarto delle riforme promesse consentirebbe un’accelerazione della crescita. Personalmente punterei su queste riforme semplificando e rendendo la vita molto più facile alle imprese ostacolate dalla burocrazia che non permette loro di essere competitive. Sì progetti, sì soldi su questi progetti, ma il punto è creare un effetto a grappolo. Bisogna creare un indotto attorno a questi progetti affinché la crescita sia duratura».  

3 FATTORI. Il podcast di Mariangela Pira

Se definisco Mario Draghi e Janet Yellen Mr e Mrs Wolf che ancora una volta stanno risolvendo il problema sbaglio?
«La situazione negli Stati Uniti è molto diversa dalla nostra. Pensiamo agli elicopter money. Se sei un cittadino americano ricevi in posta i soldi, non è come da noi. Hanno messo sul piatto miliardi e miliardi. E poi il piano voluto da Biden e da Yellen vale un trilione. Significa mille miliardi spesi solo per le infrastrutture. Non sono le cifre che abbiamo noi che disponiamo di 209 miliardi. Attualizzati, questi miliardi, dice McKinsey, sono superiori a quello che era il Piano Marshall. Una cosa però è usare trenta miliardi in un modo, diverso è investire dieci miliardi all’interno di un progetto a cui si aggiunge un privato che investe lo stesso ammontare sotto suggerimento dello Stato che mette, a sua volta, altri dieci miliardi. Il punto è moltiplicarli, non farli sparire in cadreghe politiche come si è fatto sempre sinora. Negli Stati Uniti, come dicevo, è completamente diverso, puntano a mettere tanti soldi nella loro economia, lo possono fare, hanno le banche centrali. Da noi è diverso perchè la nostra banca centrale non si mette a stampare soldi. Loro puntano tantissimo a foraggiare l’economia per ripartire. Quindi non c’è aumento dei prezzi, nè inflazione, ma attenzione ad una ripartenza troppo veloce altrimenti si creano altri problemi. Agli americani non interessa, perché l’obiettivo è far ripartire l’economia e diminuire il tasso di disoccupazione. C’è la probabilità di riuscire a creare un piano infrastrutturale simile a quello di Biden. Costruisci un ponte, su quel ponte ci lavorano delle persone in un territorio che avrà hotel e ristoranti che riceveranno lavoro a loro volta. Ovviamente si spera che questo effetto si crei anche qua, però l’entità della crescita è pari a zero».       

Metti in ordine di classifica chi ha guadagnato di più da questa crisi: Cina, Russia, USA o UE?
«A questa crisi dobbiamo anche legare anche l’attualità dell’Afghanistan. Mi diceva Eike Schmidt, il direttore degli Uffizi, uomo con grande sensibilità geopolitica, di pensare alla Cina che guarda le forze occidentali abbandonare così velocemente l’Afghanistan. Agli occhi dei cinesi l’Occidente è indebolito. La Cina è sicuramente partita male in primis perché è stata considerata da tutti responsabile di questa crisi. Inoltre non ha avuto la prontezza di fermarla tempestivamente, anzi in parte l’ha nascosta. Da un punto di partenza critico, poi si è ripresa molto più rapidamente di altri grazie ad una politica di sicurezza nazionale incredibile. Nello stesso tempo, appena si verifica un focolaio con delle varianti, richiudono. Hanno questo meccanismo di flessibilità che solo un Paese comunista può avere. Una democrazia liberale non può farlo. Nei confronti della Cina c’è un’antipatia che è cresciuta dopo questo episodio. Se anche prima non era un interlocutore ideale non credo che lo sia adesso.

La Russia è l’unica che emerge neutrale. Quello che era considerata prima della crisi è considerata anche adesso. Il suo ruolo emerge in altri settori. Lotta cibernetica che sta prendendo sempre più piede – probabilmente sarà la battaglia del futuro – e quella dei dati.

Gli Stati Uniti hanno perso sia nella modalità di gestione della crisi, che nel modo in cui perseverano nel non dare risposte, a livello geopolitico, e continuano ad essere sempre meno quella forza democratica in cui tutti si riconoscono. Questo però non ha molto a che fare con il Covid, ma con quello che è emerso nell’attualità più recente. Possono uscire dalla crisi qualora ci sia quella ripresa sperata da Biden perché ci sono tantissimi quattrini. Qualora questi quattrini fruttassero loro emergerebbero primi. Tra Cina e Stati Uniti sarà sempre una bella lotta. I cinesi non accettano che gli Stati Uniti siano il primo Paese e credono che ci debba essere un altro tipo di ordine. Questo ordine occidentale capitanato da voi noi non lo accettiamo, dicono.

Poi c’è l’Europa. Perché l’Europa non alza mai la testa, rispetto all’uno o rispetto all’altro? L’Europa dovrebbe alzarsi e dire “ehi ci sono anche io!”. Forse noi non siamo capofila, per esempio, sul fronte del clima? Forse noi non siamo capofila nel cercare soluzioni diplomatiche senza mai adottare una politica di guerra? Nonostante questi pregi non abbiamo mai la forza di trascinare gli altri. Siamo sempre trascinati. Nonostante la presidenza di una Super Von Der Leyen, bisogna macinare terreno da questo punto di vista, perché altrimenti saremmo sempre fagocitati dalle politiche degli altri».

In Europa potrebbero esserci profondi cambiamenti. Il 26 settembre in Germania ci saranno le elezioni federali e dopo 16 anni si conclude il cancellierato di Angela Merkel. Un grande addio. Chi ne raccoglierà l’eredità?
«Sul fronte Afghanistan la Merkel è l’unica che ha chiamato le cose con il loro nome. E’ la sola ad aver parlato degli errori commessi dall’Occidente. Ammette gli sbagli in casa sua, è veramente una leader. Chi in Europa potrebbe sostituire la sua unicità? Draghi. E’ l’unico che potrebbe prendere il bastone. Questo lo si è visto al G7 in Scozia. Dove andavano i giornalisti? Da Draghi. Non siamo più gli ultimi della classe, per la prima volta siamo un Paese molto ascoltato e rispettato. Dovremmo trarre vantaggio da questo, lo ha detto anche il Financial Times. L’Ex Capo della BCE potrebbe di fatto sostituire la Merkel e portarsi come guida politica per l’Europa, anche se l’Europa non migliora proprio per questo. C’è sempre un Paese che guida l’altro. Siamo criticati perché facciamo gli accordi con la Cina, ma quando la Merkel va in Cina porta le sue aziende tedesche, non c’è un’egida europea. Ognuno fa i suoi interessi. La guida dovrebbe essere comune, non ci dovrebbero essere i vari statalismi. Le riunioni in pochi si fanno quando c’è il G7, il G20, per il resto dovremmo ragionare da Europa. E’ questo che crea problemi».

Quale sarà secondo te il futuro Draghi?
«O rimane Presidente del Consiglio, o andrà alla Presidenza della Repubblica. Draghi come Presidente della Repubblica avrebbe un’influenza innanzitutto di controllo. Verrebbe chiesto un suo parere, farebbe tante missioni all’estero e un Mario Draghi, da Presidente della Repubblica, che incontra Joe Biden, significa cenare con Yellen, parlarle dei progetti infrastrutturali che abbiamo in Italia. Vuol dire avere un ruolo e l’influenza che un altro Presidente della Repubblica non avrebbe… e lo avrebbe per 7 anni. Sono un po’ indecisa, sarebbe un ottimo Presidente del Consiglio in via continuativa, ma so anche che lasciando la Presidenza del Consiglio a una sua “persona di fiducia” lui potrebbe continuare ad avere un’influenza importante anche al Quirinale».    

L’Italia in Afghanistan che figura sta facendo?
«L’Italia in Afghanistan ha seguito come una pecora quello che hanno fatto gli Stati Uniti. Ci sono 53 dei nostri ragazzi che sono morti. Per loro bisognerebbe portare rispetto e non scappare da un paese lasciando dietro gli afghani che ci hanno aiutato in tutto e per tutto. Ha ragione la Merkel nel dire che si tratta di un fallimento delle democrazie occidentali, ma che del resto la democrazia non è un concetto che si esporta. Conoscendo bene quel Paese, una volta accolto dalle autorità afghane pensare di aver parlato a tutti gli afghani con quelle strette di mano e con quelle photo opportunity è una grandissima stupidaggine. Perché l’Afghanistan non è l’autorità che ti accoglie: l’Afghanistan è fatto di villaggi che ascoltano il loro mullah. Quindi per intraprendere una missione in Afghanistan dovresti andare in tutti i villaggi a parlare con tutti i mullah, cosa che non è possibile. E’ incontrollabile, è un paese da cui i russi sono andati via umiliati.

Biden sottolinea, noi eravamo lì per cacciare Al-Qaeda e dare la caccia a Bin Laden. Ricordiamoci Bin Laden è stato catturato 10 anni fa, se dovevi dargli la caccia te ne dovevi andare una volta conclusa la missione. Se dovevi dare la caccia ad Al-Qaeda non potevi farlo destabilizzando il Medio-Oriente e creando l’ISIS. Biden dice che erano lì per sconfiggere Al-Qaeda, ma secondo un rapporto ONU giugno 2021 Al-Qaeda è ancora presente in 15 province. Quando ero in Afghanistan si parlava di capacity building e si lavorava in quella direzione. Ora invece questo lo si nega. E’ un fallimento e questo lo avrebbero dovuto riconoscere».       

Una canzone per descrivere questi giorni e il nostro tempo.
«Red Hot Chili Peppers. Wet Sand. Perchè siamo in un insieme di situazioni che non leggiamo bene. Sabbia più che bagnata forse mobile, che ci impantana. Anche perché la sto ascoltando spesso».

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