Numeri che divideranno la politica. Se i nuovi dati Istat sul lavoro sottolineano il record assoluto degli occupati (23,2 milioni) dai lontani anni ‘70, molti altri dati preoccupano, e non poco.
In primis il fatto che negli ultimi 10 anni i dipendenti a tempo indeterminato in Italia siano esattamente gli stessi (erano e rimangono 14,8 milioni). Ciò significa che lo zoccolo duro della classe media italiana capace di spendere e
progettare (leggi mutui e prestiti) non si è affatto evoluto numericamente nell’ultimo decennio. Non ha fatto altro che perdere via via potere di acquisto e capacità di spesa.
Non alimentando adeguatemente la ripresa economica. Su questo dovrebbero riflettere tutti i partiti politici, perché evidentemente le politiche del lavoro da questo punto di vista hanno fallito. E non si tratta di
colore politico o ideologia. Altri numeri Istat che preoccupano: la risalita della disoccupazione giovanile (siamo tornati esattamente a 1 giovane su 3 senza lavoro), la crescita significativa dei contratti a termine (se nel 2008 erano 2,37 milioni, oggi sono saliti a 2,97 milioni con un +20%) e la classe d’età 25-34 anni, l’unica a non far registrare miglioramenti in termini di numero di occupati.
Da tutti questi fattori risulta una disoccupazione stabile all’11,2%, su livelli ben più alti di quella dei Paesi europei comparabili al nostro per popolazione (Germania, UK e Francia), fatta eccezione per la Spagna (15,9%), alle prese
con una paralisi di governo che inizia a somigliare alla nostra. Il mercato del lavoro italiano ha cambiato faccia durante la crisi: i lavoratori sono più anziani, lavorano più donne e vanno di moda i contratti a tempo
determinato.
Di tutto questo dovrà tenerne in debito conto il nuovo governo.
P.B.