Da troppi anni il settore del gioco legale opera senza una chiara visione del futuro. Dai tempi del Governo Monti, nel 2012, vengono prese decisioni senza affrontare il quadro complessivo. Già allora si parlava della creazione di un tavolo di discussione per poter regolare al meglio il settore. Ciò non è mai avvenuto e il tempo da solo non contribuisce alla risoluzione di problemi ormai esistenziali.
The Watcher Post ha seguito un evento digitale sul “Gioco Sostenibile” per approfondire le sfide della regolazione per gli operatori legali e i rischi connessi ad un ritorno dell’illegalità. Il gioco pubblico legale è ormai argomento spinoso, quasi un tabù nel dibattito politico. Ma le ideologie non contribuiscono alla better regulation, soprattutto in presenza di un settore dalle molteplici sfaccettature e con potenziali ricadute positive su numerosi ambiti.
Salendo il primo gradino, partiamo dalle cifre. Secondo i dati del Libro Blu dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, il comparto è in crescita negli ultimi cinque anni in tutti i suoi valori: in termini di raccolta, ovvero l’ammontare delle puntate, +25,3%; spesa, la differenza tra raccolta e vincite, +14,41%; vincite dei giocatori +27,95%; introito dello Stato +29,55%.
I numeri danno lo spunto per una prima riflessione, offerta da una prospettiva più ampia. In Spagna il “fondo” che viene ricavato dal gettito legale del gioco contribuisce a finanziare il sistema sanitario nazionale. Anche nel Regno Unito considerevoli contributi al settore della salute arrivano dal gioco. Una risorsa che corre in aiuto di un altro settore. La consapevolezza è che, soprattutto in emergenza sanitaria, i comparti in difficoltà sono molti. Meno riconosciuto il fatto che un gioco legale solido e ben amministrato, che operi in un regulatory environment chiaro e definito, possa creare valore sul territorio in cui opera. Le esperienze citate sono solo alcuni degli esempi. Non mancano riferimenti anche nel Bel paese: dai numerosi beni culturali e architettonici tornati a nuova vita grazie ai proventi del Lotto – dal 1996 infatti parte di questi sono destinati a progetti di restauro e recupero – fino ai contributi in termini di evoluzione tecnologica del Sistema Paese.
Una consapevolezza che incontra delle difficoltà a maturare, ed esplicare quindi tutti i suoi effetti, anche a causa del quadro normativo e della partita che si gioca tra Stato etico e Stato gestore.
Il primo ostacolo si incontra con i più di 500 “provvedimenti puzzle”, come li ha definiti il vicedirettore dell’Agenzia Dogane e Monopoli Alessandro Canali, che hanno la stessa difficoltà della torre di Babele nel comunicare tra loro. Incongruenze che hanno spinto la stessa Agenzia a chiedere una legge quadro, che sia frutto di un attento dibattito giuridico ma anche intellettuale.
La “Babele” è però solo la punta dell’iceberg, ma a far affondare la nave è stato l’art. 9 del Decreto dignità che, con il pur lodevole proposito di contrastare le dipendenze, ha vietato “qualsiasi forma di pubblicità, anche indiretta, relativa a giochi o scommesse con vincite di denaro, comunque effettuata e su qualunque mezzo, incluse le manifestazioni sportive, culturali o artistiche, le trasmissioni televisive o radiofoniche, la stampa quotidiana e periodica, le pubblicazioni in genere, le affissioni e internet”. Un provvedimento che ha ghigliottinato il gioco, ma con esso anche un diffuso indotto che beneficiava delle sue risorse.
La dicotomia Stato etico vs Stato gestore non è risolvibile con un approccio ideologico. Ha infatti il problema di cadere nel cliché di Ponzio Pilato perché perseguire l’obiettivo di un gioco sostenibile diventa impossibile se è lo Stato il primo a non volersi prendere la responsabilità di una regolazione complessiva. Riconoscere i rischi legati ad una pratica distorta del gioco è facile, così come per altri “vizi”, ma dal momento in cui lo Stato è intervenuto per legalizzarli, come sostiene Chiara Sambaldi (Direttrice dell’Osservatorio Permanente su Giochi, Legalità e Patologie dell’Eurispes), “bisogna avere un approccio scientifico ed abbandonare lo scetticismo”. Questo punto di incontro è necessario per far coesistere gli interessi pubblici e quelli degli operatori legalmente autorizzati a gestire il servizio. Solo in questo modo si può trovare un equilibrio tra la tutela della salute e la legalità.
Qual è il risultato di questa confusione? Chi ne paga il prezzo e chi invece ne trae vantaggio? Il quadro delineato crea una comfort zone solo per l’illegalità. I concessionari, sottoposti a strettissima regolazione e alta tassazione, ci rimettono. Come ha giustamente osservato Giuliano Frosini (Senior Vice President Institutional Relations di Lottomatica), “se si alza eccessivamente la tassa su un prodotto legale si spinge il consumatore verso quello illegale”, soprattutto perché lo scommettitore illegale potrà offrire lo stesso ma ad un costo enormemente minore. Tutto questo ha delle conseguenze anche sul contrasto ai disturbi patologici: l’arretramento del settore legale e lo spostamento dell’utente verso quello illegale, provoca un’uscita dai radar dei soggetti più a rischio. L’effetto è paradossale: oltre una certa soglia, le restrizioni favoriscono l’illegalità.
Focalizzarsi sul miglioramento del sistema delle concessioni e sulla razionalizzazione delle norme, ha evidenziato Chiara Sambaldi, permetterebbe agli operatori legali di mettere in atto una strategia per la sostenibilità del gioco sul territorio, così da poter assumere una funzione di presidio e di monitoraggio attivo.
Fondamentale in questo l’innovazione tecnologica che, parafrasando Frosini, “è una risorsa di tutela al servizio della filiera e dei cittadini, da coniugare alla consapevolezza e all’intervento della politica”. L’innovazione va usata in maniera intelligente, come ha fatto notare Canali, e per questo ha bisogno di strumenti tecnologici adeguati così come dell’affiancamento di risorse umane che possano analizzare al meglio i dati in possesso dell’Agenzia. Le decisioni sul gioco hanno tali impatti che meritano di essere prese sulla base di un’analisi scientifica dei dati, senza i paraocchi dell’ideologia.
Rimangono i dubbi: a quando un tavolo di discussione per avere un quadro normativo lineare? Quando ci si porrà il tema del mancato gettito sulle casse dello Stato? A quando un dibattito consapevole sul gioco pubblico?