Economia

Il debito in prospettiva. Direzioni possibili a tre giorni dalla conferma del rating BBB all’Italia

22
Aprile 2024
Di Francesco Tedeschi

Quando si parla di agenzie di rating si pensa spesso a quella scena tratta dal film “La Grande Scommessa” quando i protagonisti del film – broker di una piccola banca d’investimenti che aveva deciso di scommettere contro i cosiddetti mutui subprime – si recano negli uffici di Standard & Poor’s per chiedere conto del perché quei titoli – che non valevano niente – erano invece stati valutati oro. La risposta in quel caso era semplice, le grosse banche d’investimento avevano influenzato la decisione dell’agenzia. Insomma, al netto di tutte le condizioni di incertezza macroeconomiche, quando si parla di rating e soprattutto di agenzie di rating bisogna sempre partire da qui. Con questo non si dica che il giudizio espresso, soprattutto quello nei confronti degli Stati, non valga. Anzi, piuttosto si tratta di dosare la giusta dose di realpolitik e scetticismo. 

Venerdì notte scorsa infatti Standard & Poor’s ha confermato la tripla B con outlook stabile per l’Italia. La decisione è in linea con quella adottata lo scorso autunno anche se, rispetto a qualche mese fa, è cambiata la prospettiva del debito, che adesso viene visto in rialzo del 2,5% nel suo rapporto con il Pil fra il 2024 e il 2025-26. Fattore chiave nei prossimi giudizi potrebbe risultare il rapporto deficit/pil che, secondo le ultime proiezioni dell’Eurostat, risulta il più elevato in tutta l’Ue, al 7,4% dopo l’8,6% nel 2022. Nel 2023 ben 11 Paesi della Ue hanno registrato un deficit/pil superiore al limite del 3% come dice Eurostat che ha pubblicato la prima notifica sui dati dell’anno scorso sulla base dei quali la Commissione europea deciderà l’apertura delle procedure per deficit pubblico eccessivo, attesa a giugno dopo la chiusura delle urne per le elezioni del parlamento europeo.

Rispetto quindi alle scorse valutazioni cosa è cambiato? S&P’s lo scorso ottobre, ad esempio, non aveva suonato campanelli d’allarme, confermando il rating “BBB” dell’Italia con outlook stabile; analogo il giudizio di Fitch, che a novembre aveva lasciato immutato il rating a “BBB” con outlook stabile. Moody’s aveva invece rivisto al rialzo l’outlook per il nostro Paese da negativo a stabile lasciando immutato il rating a ‘Baa3’. Tutto bene quindi? Non proprio. Poco prima della pubblicazione del rating infatti il Fondo monetario internazionale ha ritoccato verso il basso le stime per la crescita italiana. Secondo l’outlook regionale per l’Europa il nostro Pil aumenterà dello 0,7% nel 2025 per salire di un ulteriore 0,2% nel 2026. Una crescita molto debole, quindi, giustificata in parte dal Fmi per via dell’affievolirsi delle principali agevolazioni, come Superbonus e PNRR. Anche e soprattutto tenendo conto che il debito italiano nel 2025 sfonderà i 3 mila miliardi di euro. E in questo discorso le privatizzazioni non basteranno, scalare di 20 miliardi – quanto il Governo pensa di riuscire a ricavare dalla vendita di parte delle quote di Poste e Ferrovie dello Stato – una montagna alta 3 mila miliardi infatti non pare una strategia efficace. Nei mesi a venire l’obiettivo sul debito/pil dovrà far crescere il denominatore contenendo il numeratore con una serie spending review. Perché ciò accada, il pil dovrà tornare a marciare: 1 – 1,5%. Un dato che oggi sembra un’utopia ma che domani potrebbe essere realtà anche grazie ai fondi del PNRR. Intanto Bruxelles aspetta al varco con il nuovo patto di stabilità.

Insomma, in prospettiva quello che sembrano volere le istituzioni internazionali economiche sembra non solo uno sforzo di maggior produttività, ma un consolidamento della crescita attraverso la fiscalità generale e riforme strutturali. Altrimenti, fanno sapere dal Fmi, si rischia una domanda interna debole, che potrebbe tenere l’inflazione più alta del previsto, impedendo alla Bce di tagliare il costo del denaro. La questione del debito italiano quindi si legge in quella più ampia degli affari europei. L’unione europea dovrebbe rivedere il suo modello di produttività, sfruttando le economie offerte da innovazioni digitali, reti infrastrutturali e transizione verde. In un quadro simile occorre superare, inoltre, la frammentazione finanziaria e di bilancio per migliorare la regolamentazione, e far risaltare il modello europeo tra quello monopolistico cinese e il protezionistico statunitense. Anche partendo dagli stimoli offerti dal Rapporto Letta e quello Draghi.