Economia
I dubbi sull’acquisizione di Credit Suisse da parte di Ubs
Di Jacopo Bernardini
L’acquisizione di Credit Suisse da parte di UBS “comporta un’enorme quantità di rischi”, soprattutto perché “ci sono state solo 48 ore per condurre la due diligence, e molte domande rimangono senza risposta…”. Parole di cripto-entusiasti che sognano un crollo del sistema bancario? No, sono le affermazioni, rispettivamente, del presidente di UBS Colm Kelleher e del suo vice Lukas Gähwiler, rilasciate all’assemblea generale annuale di UBS tenutasi a Basilea.
I loro toni mostrano come la strada per l’effettivo completamento dell’acquisizione sia ancora lunga e come le scosse bancarie, che nel giro di poche settimane hanno portato dal fallimento di Silicon Valley Bank all’acquisizione di Credit Suisse, continuano a far preoccupare il mondo finanziario.
Le autorità svizzere hanno dato il via all’acquisizione di Credit Suisse da parte di UBS circa due settimane fa. Un’operazione da 3,25 miliardi di dollari (prezzo definito da alcuni azionisti di Credit Suisse “un affronto”) messa insieme in fretta e furia nel corso di un fine settimana, per cercare di evitare, alla riapertura dei mercati, un crollo bancario potenzialmente catastrofico. Un’operazione su cui né gli azionisti di Credit Suisse né quelli di UBS hanno potuto dire la loro, perché varata dai vertici delle due banche secondo una procedura d’urgenza voluta dal Governo svizzero.
Il Presidente di UBS Kelleher ha aggiunto che “non basta mettere insieme i numeri per arrivare a una somma: l’integrazione delle attività comporta una quantità enorme di rischi”. È un po’ come accade in politica: quando due partiti si fondono o si alleano, non è detto che la somma dei voti sia uguale al totale del nuovo partito o della nuova alleanza. Anzi, spesso si perdono consensi.
Come riportato dal Financial Times, anche gli azionisti più piccoli di UBS rimangono scettici: “Siamo preoccupati per questo nuovo gigante bancario”, ha dichiarato Vincent Kaufmann, AD della fondazione Ethos, un gruppo che rappresenta oltre il 3% delle azioni di UBS.
Altri azionisti hanno chiesto garanzie sul fatto che UBS si muoverà rapidamente per ridurre le attività di investment banking che hanno portato al crollo di Credit Suisse, che nel 2022 ha registrato una perdita netta di 7,3 miliardi di franchi e deflussi di fondi per 123 miliardi di franchi.
Anche Jamie Dimon, CEO di JPMorgan Chase, la più grande banca al mondo, nella lettera annuale agli azionisti ha detto la sua riguardo alle recenti crisi bancarie. Dimon se l’è presa con i regolatori – in particolare la FED – per aver incentivato le banche a rifornirsi di titoli di Stato e per aver imposto stress test fallaci.
Il capo di JPMorgan Chase ha sostenuto che i regolatori hanno incoraggiato le banche ad accumulare grandi portafogli di titoli del Tesoro americano considerati sicuri, inevitabilmente scesi di valore con l’aumento dei tassi di interesse.
Riguardo agli stress test, ha sostenuto che sono diventati per le banche “un compito enorme, di una complessità sconcertante”. E ciononostante “gli stress test elaborati dalla Fed… non hanno mai messo in conto un possibile aumento dei tassi di interesse”.
Anche Dimon concorda che i pericoli non sono ancora passati. L’aumento dei tassi si tradurrà in una sofferenza per chi dovrà rifinanziare i propri prestiti, e ciò potrebbe mettere in luce ulteriori debolezze dell’economia statunitense, per esempio nel mercato immobiliare.
Ma ha poi esortato i politici a evitare “risposte impulsive” o “a sfondo politico”. Il dibattito, secondo il numero 1 di JPMorgan non dovrebbe concentrarsi semplicemente sul bisogno di “più o meno” regolamentazione, ma su qual è il giusto mix di regole per far sì che “il sistema bancario americano rimanga il migliore al mondo”.
Non sarà il 2008, ma a 15 anni di distanza gli argomenti al centro dell’attenzione tornano a essere temi noti, col mondo finanziario diviso tra chi indica la deregulation come l’origine di ogni male e chi accusa i regolatori di scarsa lungimiranza e, riecheggiando Platone, si chiede “quis custodiet ipsos custodes?” (chi controlla i controllori?).
Nei giorni scorsi anche il Presidente USA Joe Biden si è schierato, chiedendo alle autorità di regolamentazione americane regole più stringenti per le banche. L’obiettivo? Ribaltare alcune norme dell’era Trump per “rafforzare il sistema bancario”.
Un braccio di ferro che, in vista anche delle elezioni USA 2024, sembra appena all’inizio.