Economia

Zero compenso, qualità zero. L’appello della Fondazione Inarcassa

11
Ottobre 2017
Di Redazione

Anche dai professionisti, remunerati, un aiuto alla ripresa

L’appello di architetti e ingegneri a riconoscere il diritto a una giusta retribuzione

 

L’Italia è una penisola soggetta a grandi rischi naturali: terremoti, alluvioni, frane. Conviviamo con fenomeni atmosferici, dissesto idrogeologico ed eventi sismici sempre più frequenti e intensi che si manifestano con sempre maggiore continuità e gravità.

Fenomeni spesso imprevedibili e difficili da controllare, a cui si somma una crisi economica che ha colpito in modo particolare il comparto dell’edilizia. Il nostro territorio, il patrimonio immobiliare e le infrastrutture pubbliche – di cui il 75% costruito prima del 1981 in assenza di normative antisismiche – hanno subito e ne subiscono pesantemente le conseguenze, molto spesso con un prezzo elevatissimo di perdita di vite umane.

Queste considerazioni di ampio respiro costringono tutti noi, cittadini, liberi professionisti, amministratori pubblici, classe politica e dirigente del Paese, a una serie di profonde riflessioni su come potere intervenire per evitare, o quantomeno minimizzare, gli effetti catastrofici delle calamità naturali, sia dal punto di vista economico che, soprattutto, per la sicurezza delle persone.

Dobbiamo uscire dagli schemi del passato con nuove progettualità, che possano aprire scenari produttivi capaci di mettere in sicurezza il Paese e ridare fiato all’economia nel rispetto del territorio e della sua vitalità. L’Italia è straordinaria per le sue peculiarità, merita un’attenzione totale in modo da garantirne contemporaneamente la sostenibilità economica e ambientale, la sicurezza e la qualità del costruire.

Un Paese, il nostro, che sul piano della qualità ha saputo far crescere e valorizzare personaggi che con le loro idee, le loro opere, il loro mestiere hanno fatto la storia dell’arte e dell’architettura, in modo unico e riconosciuto nel mondo.

Ora, purtroppo, quello spirito sembra essersi spento o almeno assopito, quello spirito artistico che ci ha consegnato un patrimonio di ineguagliabile valore storico e architettonico è stato sopraffatto in nome del valore economico e della concorrenza: massimo sfruttamento del territorio accompagnato dalla regola prevalente del maggior profitto per l’operatore privato, deboli controlli e gare al massimo ribasso, nell’ottica di un risparmio economico per il settore pubblico. Il tutto con poca attenzione all’ambiente, alla qualità delle opere, alla salute e alla sicurezza. A farne le spese è l’Italia intera, perdendo il riconoscimento e la credibilità costruite in decenni di lavoro nel passato; a pagare il prezzo maggiore è il nostro territorio, con le sue ricchezze e le sue fragilità.

Abbiamo opere architettoniche con secoli e secoli di storia che meravigliano il mondo intero, ma abbiamo anche moderni viadotti in cemento armato con 10-20 anni di vita che ci crollano addosso.

I prossimi anni saranno determinanti per il futuro del nostro Paese e della nostra professione.

Il territorio, con tutte le sue componenti, può essere il volano di nuove economie che, sull’esempio di realtà più virtuose, possono essere in grado di contrastare e superare questa difficile fase.

Per fare questo bisogna però ristabilire dei valori morali ed etici, oggi ampiamente assenti in gran parte degli operatori del settore, di ogni ordine e grado, privati e pubblici, che hanno influenzato e condizionato lo sviluppo del nostro territorio dagli anni ’60 a oggi.

Sostenere e diffondere una nuova cultura degli interventi sul territorio significa passare necessariamente dal coinvolgimento e dalla sensibilizzazione di tutta la filiera produttiva, progettisti, imprenditori, piccole e grandi imprese, politici, amministratori e uffici tecnici locali, per arrivare ai cittadini. Questo è il nostro compito, la nostra responsabilità nei confronti delle generazioni future.

Bisognerebbe ritornare al mecenatismo del passato, ove la grandezza dell’uomo si identificava con la grandezza degli interventi architettonici: abbiamo tanti esempi di ciò che sono giunti a noi dal passato e sono oggi ammirati e invidiati da tutto il mondo. 

Ogni intervento sul territorio, ogni opera costruita, anche il più piccolo intervento privato, diventa alla fine un’opera di interesse pubblico, sotto gli occhi di tutti. Non dimentichiamo che quanto costruito – bene o male – sopravvivrà sul territorio per generazioni e generazioni, lasciando il segno dei nostri tempi e della nostra cultura a chi verrà dopo di noi. Proprio come i nostri antenati hanno saputo dimostrarci lasciando le tracce della loro storia nelle costruzioni che sono giunte a noi.  La nostra architettura contemporanea deve essere pensata per parlare all’avvenire, al prossimo, deve essere cioè un testimone del nostro tempo, che diventerà per le generazioni future un momento di riflessione e di memoria.

Bisognerebbe ristabilire un patto tra le generazioni, quelle del passato che ci hanno trasmesso il patrimonio storico, la nostra con le architetture contemporanee che siamo in grado di esprimere, e quelle future che ci giudicheranno.

Questo patto che lega una generazione all’altra si manifesta a prima vista proprio nell’architettura e nella memoria che essa trasmette nel tempo. Ma perché questa memoria si possa conservare e il patto tra le generazioni possa essere mantenuto, occorre pensare a interventi di qualità che facciano della propria permanenza sul territorio, e nel tempo, un principio guida.

Oggi noi lavoriamo confrontandoci con opere del passato, anche del recente passato, tutelate e gravate da un vincolo storico o monumentale, ma c’è da domandarsi cosa avranno da tutelare coloro che verranno dopo di noi rispetto a quanto costruito negli ultimi 50-60 anni.

Serve quindi un’azione di responsabilità che deve portare in primo piano, insieme alla sostenibilità e alla sicurezza, la qualità del costruire in tutte le fasi, a partire dalla prima progettazione.

Sono temi di cui discutiamo, anche animatamente, dopo ogni evento catastrofico che causa morti e feriti e lascia senza casa intere famiglie. Ma sono argomenti che, purtroppo, ancora oggi sembra rimangano solo nei dibattiti pubblici, dato che i segnali che riceviamo sempre più spesso dalle istituzioni sembrano indicare tutt’altra direzione.

In un momento così particolare per il nostro Paese e per la nostra professione, in cui c’è bisogno di grande sicurezza e qualità del costruire, le istituzioni e i media spingono l’opinione pubblica verso l’idea che la liberalizzazione delle professioni porterebbe alla soluzione dei problemi economici dell’Italia. È quindi paradossale che oggi il dibattito non si concentri sulla qualità del costruire e in generale sulla qualità delle prestazioni professionali, ma privilegi il mero risparmio economico, con effetti – se davvero dovessero esserci – perlopiù solo nel breve periodo. Le conseguenze le pagheremo solo col tempo.

Di questa deleteria direzione ne è un esempio la recente sentenza del Consiglio di Stato che ha ribaltato il pronunciamento del Tar Calabria dichiarando, quindi, legittima la gara bandita dal Comune di Catanzaro per la redazione del Piano Strutturale della città con un compenso simbolico di 1 euro.

Un incarico lungo, delicato, complesso e multidisciplinare dal quale scaturiscono le azioni di tutela e sviluppo di una intera comunità territoriale, e che mette in gioco grandi interessi pubblici e privati.

Come si fa anche solo a pensare che col lavoro gratuito, solo il nostro tra l’altro, ci possa essere un futuro per i nostri giovani colleghi, per noi e per i nostri figli, per il Paese intero?

Le prestazioni professionali tecniche, al pari di ogni altro lavoro, devono essere compensate per l’effettiva quantità e qualità del lavoro svolto. La nostra Carta Costituzionale, all’articolo 36, non potrebbe essere più chiara: “Il lavoratore ha diritto a una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa”.

Senza un adeguato compenso al lavoro professionale si aprono, tra l’altro, le porte al peggiore dei mali del nostro Paese: la corruzione. L’argine a tutto ciò potrebbe essere l’equo compenso, un tema che è terreno di numerose battaglie, anche parlamentari. Ma ancora prima di ciò si tratta di una questione di dignità e onestà.

Come Fondazione Inarcassa lo diciamo a gran voce non solo in tutela dei 170.000 architetti e ingegneri liberi professionisti che ogni giorno, nonostante le oggettive difficoltà e la burocrazia, si dedicano al proprio lavoro con grande professionalità, ma soprattutto per il futuro del nostro Paese: chiediamo ancora una volta alla classe politica, alla classe dirigente che ci governa un sistema che garantisca la qualità delle prestazioni, delle opere e della sicurezza dei nostri concittadini. Non intervenire a seguito di quanto sentenziato dal Consiglio di Stato significherebbe dichiarare la definitiva condanna a morte delle libere professioni.

 

Per il CdS incarichi professionali gratis

Con una recentissima sentenza (03/10/17 n. 4614), la Quinta Sezione del Consiglio di Stato, riformando la pronuncia di primo grado (Tar Calabria, Catanzaro, sez. I, n. 2435/2016), ha affermato un principio in virtù del quale la normativa europea e nazionale che disciplina gli appalti pubblici non osterebbe alla possibilità che una stazione appaltante metta a gara un servizio professionale, senza prevedere alcuna remunerazione in favore del prestatore del servizio. Si tratta di un inaspettato arretramento delle soglie di garanzia che l’ordinamento giuridico, sia pure a fatica, aveva costruito negli ultimi anni a tutela della dignità e del decoro del libero professionista che, con questa sentenza si troverebbe a poter lavorare senza alcun compenso in denaro e le Amministrazioni Pubbliche sono legittimate a bandire gare per l’affidamento di incarichi tecnici da svolgere gratis, con un rimborso spese, sostenendo quindi che il mancato guadagno economico possa essere sufficientemente compensato da un ritorno di immagine.

Secondo i giudici del Consiglio di Stato quindi è legittimo che il libero professionista possa essere chiamato a contribuire direttamente col proprio lavoro, oltre che fiscalmente, all’economia del Paese, dimenticando che per essere un libero professionista bisogna anche essere un professionista libero, libero da condizionamenti!