Economia

Fed, su i tassi. Inflazione al 9,1%. Le prospettive e la linea di Powell

28
Luglio 2022
Di Giuliana Mastri

La Banca Centrale americana, la Fed, ha alzato i tassi di interesse di altri 0,75 punti portando il costo del denaro tra il 2,25% e il 2,50% di interesse. La decisione era nell’aria ed è in linea con le dichiarazioni del Governatore Jerome Powell, il quale ha fatto capire che molto probabilmente i rialzi continueranno, anche ravvicinati, ma potrebbero subire un rallentamento nei mesi a venire. Questo perché la Federal Reserve si trova davanti alla difficile situazione per cui, se da una parte deve agire sulla leva monetaria per rallentare l’attività economica sperando di abbassare l’inflazione, dall’altra non può permettersi di comprimere troppo gli investimenti e i consumi perché gli Stati Uniti hanno ancora bisogno di una spinta dopo il periodo pandemico.

Gli ultimi due trimestri hanno registrato un pil negativo. Complice anche il quadro internazionale e la guerra, un contesto globale di cui la principale economia del mondo non può non risentire. Ma ben lungi dagli allarmismi. Sebbene i prezzi delle materie prime siano aumentati anche negli Usa, ad aprile l’incremento dei prezzi alla produzione è stato del 10,8%, mentre in Europa i prezzi alla produzione hanno segnato un +37,2% (qui un approfondimento su questi due dati). Ad ogni modo oggi Washington si trova a fronteggiare un’inflazione molto alta al 9,1% aggiornata a giugno (la cifra più alta dal 1981), assimilabile a quella dell’Ue al 9,6%. Certo però negli Stati Uniti come accennavamo prima va tenuto conto anche della dinamica interna al sistema, certamente più viva di quella dell’eurozona se guardiamo al dato sulla disoccupazione, attestata al 3,6%, ovvero nettamente dentro quel parametro soprannominato “piena occupazione”. Parametro che certamente ha implicazioni anche sui salari e sui consumi, di conseguenza anche sull’inflazione.

Ma se l’inflazione sta al 9,1%, come era già stato detto dobbiamo aspettarci che la Fed arrivi anche a portare il costo del denaro sul 3,25/3,50%, forse per poi rallentare la stretta o attendere. Come sempre dicono i banchieri, infatti, le prossime decisioni dipenderanno dalla valutazione dei dati. Ma ormai sia in America che in Europa siamo preparati a scelte dure.

Jerome Powell ha dichiarato ieri: «Senza stabilità dei prezzi nell’economia non funziona nulla. A un certo punto sarà appropriato rallentare il ritmo della stretta monetaria. Dato che si è deciso di procedere energicamente da subito sui rialzi del costo del denaro ci stiamo avvicinando a dove i tassi dovrebbero essere. Assumeremo le nostre decisioni volta per volta. Riteniamo che ora sia appropriato agire così piuttosto che dare indicazioni precise sulle prossime decisioni». Secondo il Governatore è «necessario avere un rallentamento della crescita economica. Pensiamo serva un periodo di crescita sotto il potenziale e condizioni del mercato del lavoro più morbide per avere l’inflazione al target. Siamo fortemente determinati ad abbassare l’inflazione e abbiamo gli strumenti per farlo». Ma poi ha negato di volersi rassegnare alla recessione (ufficiale e non solo “tecnica” se anche il prossimo trimestre sarà negativo: «Il nostro obiettivo è riuscire in un atterraggio morbido. Non sarà facile e diventerà sempre più impegnativo nei prossimi mesi».

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