Il Quantitative Easing potrebbe non compiere 5 anni. E domani il presidente Bce Mario Draghi potrebbe annunciarlo. Ma potrebbe anche darsi che slitterà la data della parola fine fissata orientativamente all'estate del 2019. Dopo oltre 2.600 miliardi di euro di iniezione di liquidità (leggi acquisto di bond) nel sistema per mantenere l'inflazione Ue attorno al 2%, comunque, Francoforte è chiamata a scoprire le carte su quando iniziare a chiudere il rubinetto, e terrà necessariamente conto di diversi fattori. Anzitutto la frenata dell'economia europea, tallonata dalle incertezze politiche e dall'opportunità (o meno) di lanciare un nuovo Tltro (nuovi prestiti alle banche in difficoltà). Ma andiamo con ordine:
– Economia in frenata
Il primo punto interrogativo è che fine farà la Brexit. E qui Draghi non può che indossare i panni dell'aruspice. La Germania ha chiuso un trimestre con Pil negativo (non succedeva dal 2015). E questo è un fatto non positivo. La Francia sforerà il tetto del 3% per assecondare le richieste dei "Jillets Jaunes". Goldman Sachs ha detto che l'Italia "potrebbe flirtare nei prossimi sei mesi con la recessione" (no buono).
– Destino delle obbligazioni comprate dalla Bce
Ce ne sono un treno pieno. Saranno reinvestite "per un lungo periodo". Ma quanto? Forse domani ne sapremo di più. Ad ogni modo il 13 dicembre 2018 potrà (forse) essere ricordato come il giorno in cui Francoforte aprì una nuova fase della politica monetaria europea. Da più parti si consiglia di cambiare metro di giudizio: l'inflazione al 2% (spinta oggi soprattutto dal costo dell'energia) dovrebbe smettere di essere il faro principale che orienta la rotta. E l'Euro? Da tempo non arrivano segnali di euro "troppo forte" rispetto al dollaro. Ora però con Brexit c'è un rafforzamento significativo rispetto alla sterlina.
GP