Economia
Il dollaro ha le ore contate come valuta di riserva internazionale?
Di Giampiero Cinelli
Se chiedete a un americano quanto vale un dollaro, probabilmente vi risponderà: “Un dollaro”. La valuta statunitense dal dopo guerra è il principale mezzo di scambio e per anni ha dominato il sistema monetario internazionale. Aveva un valore di conversione fisso con l’oro e influiva sul valore delle altre divise che ad esso erano agganciate da rapporti di cambio tendenzialmente stabili. Anche se il sistema dollaro-centrico basato sulla conversione aurea è stato abolito nel 1971 e trent’anni dopo è nato l’euro, il biglietto verde ha mantenuto la sua centralità quale moneta di riserva internazionale. Cioè quella anche usata per transazioni tra due nazioni che non comprendono gli Stati Uniti e per l’acquisto di materie prime come il petrolio. Ad oggi, nelle riserve di banche commerciali e banche centrali di tutto il mondo il il dollaro è la moneta maggiormente presente. Ma i mutamenti geopolitici, l’ascesa della Cina e un nuovo scenario globale fatto di frizioni e articolazioni più complesse, fa ipotizzare una possibile fine del primato monetario statunitense. Gli analisti hanno provato a capire quanto sia azzeccato questo timore e, nel caso, se il rischio sia imminente.
Secondo i dati del Fondo Monetario Internazionale, aggiornati al 2021, la moneta Usa occupa ancora il 59% delle riserve mondiali. Comunque in diminuzione rispetto al 71% del 1999. La discesa tuttavia non si accompagna a un significativo aumento delle riserve mondiali di yuan cinese, che si attestano circa al 2,7% (quarto posto nel mondo dopo la sterlina). Se infatti gli Stati Uniti cedono un po’ il passo, è perché Pechino ha una forza strabiliante nel commercio estero, superando ormai Washington dal punto di vista delle esportazioni. Ciò dunque per quanto riguarda una moneta intesa come mezzo di scambio. Per quanto riguarda invece la centralità di una moneta nel mondo finanziario, ossia nell’esprimere una riserva di valore attraverso prodotti di borsa, titoli azionari e obbligazioni, è ancora il dollaro a trainare, se consideriamo anche la capacità di attrarre capitali di aziende che acquisiscono quote di corporations a stelle e strisce e che poi hanno bisogno di dollari per le loro operazioni.
Questo non vuol dire che non possano esserci scossoni da tenere d’occhio nel circuito monetario. Un peso specifico è infatti esercitato dalle materie prime come detto prima, e ultimamente assistiamo a un cambiamento di postura da parte ad esempio dell’Arabia Saudita, che da Paese non ostile agli Usa ha ultimamente siglato un accordo sul ripristino delle relazioni internazionali con l’Iran, supportata da Pechino, e ha fatto trapelare la disponibilità a effettuare transazioni in yuan per il petrolio. Parallelamente Cina, India, Brasile e Sud Africa parlano della costruzione di una valuta comune. Sono segnali del fatto che il mondo non sarà più lo stesso, ma da qui a dire che il dollaro ha le ore contate, ce ne vuole. Perché, paradossalmente, il secondo detentore di divisa Usa a livello mondiale è proprio la Cina, con in pancia circa 1.000 miliardi di dollari in Treasury Bonds (Dati 2021). Il livello è ora in fase calante, ma non sono all’orizzonte mutamenti drastici. Il motivo è semplice: Pechino, finanziando il debito pubblico degli Stati Uniti, e dunque ottenendo dollari in cambio di Yuan quando sottoscrive i contratti per detenere i titoli americani, indirettamente fornisce alla Federal Reserve le risorse per importare le proprie merci.
Ad essere pieni di dollari sono anche il Giappone, il Regno Unito e tutta la sfera occidentale, che non intende intraprendere un percorso massiccio di de-dollarizzazione. Invece i Paesi ora ostili dopo lo scoppio del conflitto ucraino e il congelamento delle riserve russe potrebbero via via riconvertire le loro riserve. Ma è difficile dire a che velocità questo possa avvenire e, se anche la volontà ci fosse tutta, magari privilegiando gli asset in Yuan, ciò è comunque rischioso. Potrebbe infatti accadere che, per via delle crescenti tensioni, la Cina decidesse di scambiare di meno la sua valuta generando di conseguenza squilibri. Gli scenari quindi sono tutti da osservare e non è escluso che in futuro il quadro paventato sarà realtà, tuttavia le analisi troppo sensazionalistiche rischiano di essere fumo negli occhi.