Economia
Credit Suisse diventa un caso. La Camera bassa dice no all’unione con Ubs
Di Franco Teschi
È il secondo no in pochi giorni, quello del Parlamento svizzero, che ribadisce la propria contrarietà verso il pacchetto di aiuti già predisposto dal governo per il salvataggio di Credit Suisse. Solo ieri infatti la camera bassa ha ribadito la propria contrarietà non solo verso il pacchetto di aiuti – aiuti che costeranno circa 13 mila franchi ad ogni cittadino svizzero – ma contrarietà anche verso l’unione della banca d’investimento svizzera con la sua principale competitor Ubs. Nell’insieme il piano di salvataggio vale 209 miliardi di franchi.
Il voto però ha un valore esclusivamente simbolico, come si può infatti leggere nella nota sull’acquisizione, l’esecutivo federale nel presentare le sue garanzie finanziarie ha assicurato che “entrambe le misure sono rette dagli articoli 184 e 185 della Costituzione federale (diritto di necessità)”. Secondo questi articoli il CF può in effetti emanare ordinanze e decisioni se la tutela degli interessi del Paese lo richiede o per far fronte a gravi turbamenti, esistenti o imminenti, dell’ordine pubblico o della sicurezza interna o esterna.
Quindi i giochi sono già stati fatti e il no del parlamento è più che altro di facciata, e piuttosto rappresenta la contrarietà anche popolare che la fusione sta suscitando. Secondo un recente sondaggio di Bloomberg infatti più della metà del paese si oppone all’unione dei due colossi finanziari svizzeri. In sostanza l’accordo non piace a legislatori, politici e popolazione svizzera quanto invece piace al mercato, Ubs inclusa. Si tenga in considerazione come il colosso svizzero al termine della fusione avrà in gestione asset per 1.6 trilioni di dollari, circa il doppio di quanto valga oggi l’intera economia svizzera.
Credit Suisse, a differenza di SVB e Signature – le due banche americane recentemente fallite – è una grande banca internazionale, con problemi che vanno ben oltre l’innalzamento dei tassi da parte delle banche centrali. Il che potrebbe rasserenare anche gli animi più preoccupati circa la recente congiuntura economica. Resta tuttavia il fatto che negli ultimi 10 anni le aziende europee hanno approfittato dei tassi di interesse estremamente bassi per finanziare nuovi investimenti, ma la risalita del costo del denaro, unita alla crescita dell’inflazione, e in particolare dei costi dell’energia, sta interferendo sulla loro capacità di ripagare i propri debiti e rischia di aumentare il peso dei crediti insoluti nei bilanci degli istituti di credito. In questo senso la vera domanda sul futuro della banca come del restante panorama economico finanziario rimane: cosa faranno le banche centrali?