Economia
Con la crisi ucraina si torna a parlare di debito pubblico. La situazione italiana
Di Giampiero Cinelli
Mentre le istituzioni si muovono per non trovarsi di fronte a uno shock dei prezzi energetici nel prossimo inverno, a fare capolino è un’antica paura della classe dirigente. Il famigerato debito pubblico. C’eravamo quasi abituati a non sentirne più parlare, nonostante nel 2020 fosse salito al 155,3% del Pil (Tra i 2.500 e i 2.700 miliardi). Per il 2021 i calcoli definitivi dovrebbero confermare la discesa al 150,4% sul Pil. C’era infatti il salvagente della Bce con le sue politiche espansive ad assicurare la stabilità. Ma adesso lo scenario è completamente diverso. E in una crisi dovuta alla guerra in Ucraina e agli strascichi ancora presenti della crisi pandemica globale, bisognerà fare attente valutazioni.
Il nodo infatti non è nemmeno tanto l’inflazione, che se anche può impattare sul Pil, rende comunque il debito più leggero, ma appunto proprio le prospettive di crescita del paese nei prossimi due anni. Le stime per il 2022 sul prodotto interno lordo sono state riviste a ribasso. Secondo il Governo come si legge nel Def al 3,1%, mentre per la Commissione Europea è il 2,4%, poi 1,9% nel 2023. E quando regna scarso ottimismo, il debito pubblico italiano deve sempre scontare le tensioni dei mercati finanziari. In questi giorni infatti assistiamo a una crescita dello spread e soprattutto dei costi del debito pubblico. Con emissioni del Btp a 10 anni arrivati al 2,8% di interessi. Chiaramente sono costi che rappresentano maggiori criticità a fronte di una crescita poco sostenuta. Anche quando l’entusiasmo dato dal Pnrr sembra calare. Per questi motivi il governo potrebbe rallentare il percorso di rientro dal debito, cercando di supportare l’attività economica senza restringere troppo il bilancio. Mettendo in conto che il peso dell’indebitamento potrebbe risalire o restare intorno alle cifre già dette. Nella migliore ipotesi si contrarrà soltanto fino al 149% del pil.
Da qui il ruolo fondamentale della Bce, che ha annunciato la fine del QE a settembre e si appresta ad aumentare il costo del denaro. A luglio secondo le ultime dichiarazioni di Christine Lagarde. Misure che servono ad arginare un’inflazione preoccupante, ma che potrebbero pesare sui debiti privati degli imprenditori già in difficoltà in questa fase e limitare la richiesta di credito per gli investimenti delle attività produttive. Nonostante ciò, una stretta della Bce non troppo vigorosa, e interessi sul debito pubblico che restano inferiori al tasso di inflazione, sono fondamentali per la tenuta dei conti pubblici. Augurandosi che la sinergia tra pubblico e privato e l’implementazione del Pnrr favoriscano un certo grado di sviluppo. Tante variabili, strategie delicate, attorno ormai a un’unica certezza. Nessuno vuole più sentir parlare di austerità.