Economia

Commercio globale: logistica e supply chain sotto stress 

18
Aprile 2025
Di Ilaria Donatio

(Intervista pubblicata su L’Economista, inserto de Il Riformista)
“Your products our passion” è lo slogan di F.lli Colò S.p.a., il gruppo in cui Daniel Hager è amministratore e direttore della divisione “Food and Beverage”.
La società – nata a Livorno più di 40 anni fa da un’idea dei fratelli Giampaolo e Gianfranco, originari dell’Abetone (nel cuore della montagna pistoiese) – dal 2022 è parte di D.B.Group, gruppo multinazionale veneto, con oltre 70 uffici nel mondo, che si occupa di spedizioni internazionali, logistica e consulenza doganale.

F.lli Colò S.p.a opera in numerosi “mercati verticali”: macchine per movimento terra, motori marini e industriali, Oil&Gas, fotovoltaico, pneumatici, marmo, pelli, moda, scarpe, e infine alimentari, vino in particolare, grazie al socio internazionale Hager. Lo fa offrendo servizi di spedizione a grandi aziende esportatrici e importatrici, con un team di esperti doganalisti aggiornati sulle normative e procedure nazionali e internazionali. F.lli Colò è soggetto autorizzato AEO e gestisce  dichiarazioni doganali per tutte le merci che sbarcano nei porti italiani. Accanto a consulenze su logistica e supply chain.

Alla provocazione se dopo i dazi imposti e poi messi in pausa dal presidente Trump, aprendo alle negoziazioni con ciascun Paese, lo slogan del gruppo rischiasse di cambiare – meno passione e più rischio? – Daniel Hager, 40 anni, californiano cresciuto a Miami, ribatte che al contrario ci «vorrà ancora più passione perché il cliente chiede sempre più informazioni ed è nostro dovere dargliele».

Ma anche più «investimenti: dobbiamo essere in grado di fare sia logistics che reverse logistics perché», sottolinea, «non si tratta solo di consegnare ma è tutta la vita del prodotto a dover essere tutelata».

Hager è molto gentile e anche “molto americano”, nel senso che noi italiani attribuiamo a questa espressione: aperto, pragmatico, diretto. Più affabile e disponibile della media dei dirigenti italici (senza offesa per nessuno!). Ma ci tiene a sottolineare di essersi «orgogliosamente italianizzato» e «raffinato» in Italia, in 15 anni di vita nel nostro Paese, alludendo forse alla vecchia storia – anche un po’ vera – che il nostro è un Paese che ha stile.

Ma se lo slogan non cambierà, cosa cambierà in concreto e come incideranno le tariffe imposte dal presidente Usa sulla catena di approvvigionamento delle merci?

Hager risponde che non si tratta di un fenomeno nuovo perché «le supply chain sono sotto stress da anni: a partire dalla grande disruption del Covid, dall’inflazione che ha seguito il rebound del 2021, dalle guerre e le tensioni geopolitiche, e poi la chiusura di alcuni passaggi strategici e anche della congestione che affligge i diversi porti». Di tutto questo, i grandi esportatori e importatori sono consapevoli. «Abbiamo imparato dalla storia che quando cambia il volume di traffico – per aumento o diminuzione – anche i servizi legati al commercio globale devono adeguarsi»: più traffico, maggiore capacità di stiva. Insomma, il «lavoro deve essere agile: se lavoriamo bene insieme, troviamo una soluzione a tutto e informiamo il cliente in modo che capisca cosa sta succedendo al suo prodotto in transito».

E cosa hanno in comune tutti i settori citati che il Gruppo presidia? Sembrerebbe nulla: spostare un container di pneumatici è ben diverso dalla spedizione di uno di vino. Ma non è così: «Hanno una logistica specialistica e l’attenzione ai dettagli che deve essere costante per tutti».

E il fatturato? «Penso che sia un numero relativo: meglio parlare di volume di spedizioni», dice. Rispetto al settore che dirige, la F.lli Colò spedisce negli Usa, dove può contare su 7 uffici, «2,000,000 di casse di vino l’anno». Per comprendere di che ordine di grandezze parliamo, «ogni container può trasportare una media di 1100 casse e pesare 19 tonnellate».

Quanto al traffico che F.lli Colò S.p.a. gestisce, «è molto bilanciato fra import ed export: import significa Far East per la maggior parte, e l’export avviene verso diverse parti del mondo, di cui il 30% negli Stati Uniti, e dentro questa percentuale il 15% è costituito dal vino».

L’ultima domanda riguarda sempre il futuro e su questo, per il particolare passaggio che si vive a livello globale, tocca ammettere che “di doman non v’è certezza”: non proprio una manna dal cielo per chi fa impresa. Ma anche qui, Hager non vede nero: «Occorre distinguere le previsioni a breve, medio e lungo termine: rispetto alle prime, abbiamo registrato un rallentamento dell’export perché le aziende cercano di capire meglio come muoversi a fronte della mancanza di chiarezza del Paese di destinazione».

Nel medio termine, però, «è importante sottolineare che la relazione tra Italia e Stati Uniti è forte – e lo abbiamo visto anche nelle fasi di incremento dei costi –: il consumo del Made in Italy, negli Usa, è sempre molto robusto». C’è «il riconoscimento sociale del nostro marchio e non ho dubbi che il consumatore americano voglia continuare a investire nel brand italiano, magari venendoci incontro, per mantenere vivo questo rapporto».

Infine, Hager sembra ottimista anche su Donald Trump: il Presidente «ha iniziato a fare quanto aveva promesso durante la campagna elettorale» e, dunque, nulla di inatteso. Neanche a dire cosa ha risposto alla domanda se si aspettava lo stop and go sui dazi: «Mi aspettavo che negoziasse, e il suo modo di negoziare è questo», conclude.