“Siamo partiti da una conigliera abbandonata e siamo arrivati a convincere BlackRock. Siamo stati a Cupertino e alle feste di Kartell. Ci hanno creduto tutti, perché i miti hanno più potere della realtà. Ma poi la realtà torna sempre. Il sogno esiste fino a quando ci credono tutti, poi qualcuno si sveglia e il sogno finisce”.
In questo passaggio è condensato il fulcro del libro “L’Unicorno – Ascesa e caduta della start-up che voleva salvare il mondo della plastica”, edito da Baldini+Castoldi e scritto dai giornalisti del Corriere di Bologna Marco Madonia e Gianluca Rotondi, che ripercorre le vicende di Bio-on.
Ma cos’è o, meglio, cos’è stata Bio-on? È stata innanzitutto la storia di Marco Astorri e del suo partner Guy Cicognani, gli anti-startupper che mollano il lavoro, iniziano a studiare un modo per liberare il mondo della plastica e trovano il Santo Graal in un’invenzione del 1926 dello scienziato francese Maurice Lemoigne: il PHA.
Funziona così: esiste un batterio che mangia scarti alimentari, più mangia più produce “bolle” che diventano una polverina. “La farina di Dio” che, se lavorata nella maniera corretta, si trasforma in poliestere naturale. Ovvero una plastica completamente biodegradabile.
Da questa ri-scoperta parte l’avventura, con un viaggio alle Hawaii per comprare il brevetto da 400mila dollari del Professor Yu. In breve, arriva il successo. La copertina di Wired del maggio 2011, con Riccardo Luna stregato dalla potenzialità dell’azienda; la quotazione in Borsa, prima vista con sospetto e poi necessaria per aumentare le risorse economiche dell’azienda, nell’ottobre 2014; i rapporti e le collaborazioni con alcuni tra i fondi di investimento, le banche e le aziende più celebri a livello mondiale. L’apice nel luglio 2018, al massimo valore del titolo azionario, quando l’azienda è ormai un unicorno, ovvero ha una capitalizzazione che supera il miliardo.
I due autori, che hanno seguito l’intera parabola di Bio-on, raccontano con particolare verve come l’azienda – in particolare l’estro di Astorri accompagnato dall’idea, irresistibile – avesse conquistato un po’ tutti, compresa l’élite dell’industria bolognese che si riunisce al Circolo della Caccia, dai Maccaferri (gli “Agnelli” della città) ai Vacchi di IMA, solita a non lasciarsi facilmente impressionare. A ruota, migliaia di piccoli risparmiatori, conquistati dalla storia dell’azienda e ancor di più dalle impressionanti performance in Borsa, che a più riprese registra negli anni una crescita a tripla cifra.
Il modello di business sposato da Bio-on è quello delle royalties: si vendono le licenze, si consegna il progetto e si incassano i diritti. È così che l’azienda firma accordi e joint-venture, tra gli altri, con Ikea, Kartell, Unilever e Kering.
Tutto crolla, improvvisamente, il 24 luglio 2019, quando Gabriele Grego, fondatore dell’hedge fund Quintessential Capital Management, pubblica un video su YouTube dal titolo: “Una Parmalat a Bologna?”. Un video di mezz’ora in cui vengono mosse pesanti accuse.
Grego afferma che il “gioco” che fa Bio-on è cercare un partner, una società con una buona reputazione e poi annunciare che inizieranno la ricerca sull’applicazione della bioplastica nel settore di riferimento. Solo che poi non succede nulla. Una società, accusa Grego, che in dodici anni di attività non ha mai creato alcun flusso di cassa e che non ha mai venduto o prodotto nulla di sostanziale.
Ovviamente, Grego ha un interesse: ha scommesso in Borsa allo scoperto contro Bio-on, convinto del suo fallimento.
Anche il primo impianto per la produzione di bioplastica, in costruzione a Castel San Pietro, in provincia di Bologna, finisce al centro delle polemiche. Doveva essere uno stabilimento da 1000t/anno, finito entro il 2017. E invece, l’investimento da 15 mln è nel frattempo lievitato e più che triplicato, e ancora non è attivo, rincara Grego.
Si scatena il panico, e il valore delle azioni crolla. È un attacco non solo a un’azienda, ma anche a un intero sistema che avrebbe dovuto vigilare, dalla Borsa Italiana alla Consob.
Bio-on cerca di contrattaccare, pubblica un video in cui mostra che lo stabilimento, in realtà, è operativo. Ma Grego risponde con nuove accuse: entrano in gioco professori, revisori, avvocati, ma il titolo continua a sgonfiarsi. Nessuno ha più fiducia in Bio-on.
Il de profundis lo suona la semestrale del 1° ottobre 2019, con i conti in rosso e numeri ben sotto le aspettative. Nel frattempo, si muove anche la Procura e Marco Astorri finisce ai domiciliari. L’unicorno è decapitato.
Dal libro, raccontato in prima persona da un narratore interno all’azienda a cui si alterna una sorta di flusso di coscienza di Astorri stesso, traspare tutta l’esaltazione dell’ascesa e poi la disperazione della caduta. Ripercorrendo le vicende emergono la spacconeria e i passi falsi compiuti da Astorri e soci, così come l’eccessiva accondiscendenza di revisori e controllori. Ma rimane un dubbio capitale: le accuse di Grego hanno riguardato la condotta della società e i pasticci contabili, ma quasi per niente il prodotto, il PHA, il sogno di un mondo pulito.
Nel frattempo, Astorri e soci sono stati rinviati a giudizio e Bio-on, messa all’asta dai curatori fallimentari, nel marzo 2023 è stata rilevata per €20 milioni da Maip, società piemontese specializzata in biopolimeri, che si è assicurata lo stabilimento, il marchio e circa 140 brevetti. A gennaio 2024, Maip ha annunciato che costruirà un nuovo stabilimento accanto a quello esistente, sempre a Castel San Pietro.
A supportare l’azienda c’è anche Marco Astorri. Come ha spiegato Eligio Martini, fondatore di Maip, “per il successo dell’operazione gli abbiamo chiesto di collaborare in quanto riteniamo che la sua esperienza e le sue competenze siano assolutamente necessarie per il rilancio di Bio-on”.