Tra tre giorni si riunirà il board della Bce per decidere le nuove mosse di politica monetaria. Attualmente il costo del denaro nella zona euro è al 4,5% sulle operazioni di rifinanziamento principale e tutti gli analisti cercano di capire quando arriverà il momento di allentare. Un allentamento che potrebbe anche significare solo una pausa e non una riduzione. Perché la visione di Lagarde sembra ormai chiara, è orientata alla massima prudenza, senza il cruccio di sembrare impopolare, fin quando non si tornerà al target desiderato.
Dipenderà dalle previsioni sull’inflazione europea e dalle valutazioni sul volume di mutui, prestiti e investimenti, tenendo conto, però, che una parziale depressione del sistema economico non sta venendo considerata il peggiore dei mali, a causa dei mastodontici programmi di investimenti pubblici, in sinergia col privato, sia in Ue che in Usa, che sopperiscono. Alla base, non si dimentichi, guida l’idea per cui la politica monetaria serva adesso a interferire sulle decisioni di spesa dei privati, facendo riferimento alla classica “inflazione da domanda”. Eppure, in questo caso, non pochi economisti dubitano che stiamo vedendo le conseguenze di un ciclo particolarmente espansivo, pensando al contrario che ci si trovi in una fase di assestamento tra domanda e offerta di beni, finestra nella quale i produttori stanno tenendo alti i prezzi. Altra ipotesi è quella che ad essere determinante sia l’aumento di specifiche voci, come quella energetica e del costo del trasporto. Ad ogni modo, stavolta deciderà prima l’istituto di Francoforte, poi sarà il turno della Fed.
C’è da dire che l’inflazione nell’area euro sta calando. Eurostat rileva che a settembre si è attestata sul +4,3%, in calo rispetto ad agosto (5,2%) e allo stesso mese del 2022 (9,9%). Per il 2023 la Bce si aspetta un’inflazione media intorno al 5%. Stiamo migliorando, ma forse non abbastanza. I governatori infatti potrebbero osservare che il picco è stato raggiunto, tuttavia ci si trova ora di fronte a nuovi elementi destabilizzanti dovuti alla guerra tra Israele e Palestina. «Abbiamo rialzato i tassi di 450 punti in 15 mesi, un aumento enorme e senza precedente e queste le definisco misure forti ma con effetti ritardati di cui non abbiamo ancora visto i pieni effetti. Abbiamo visto un inasprimento delle condizioni finanziarie come mai avvenuto prima, parte dell’impatto è ancora nella pipeline e resta da vedere come questo impatterà le nostre economie e che effetti disinflazionistici avrà nella nostra regione», ha detto Christine Lagarde una settimana fa nella conferenza di Marrakech con Fmi e World Bank. La numero uno del board non si sbilancia, eppure secondo molti lascia intendere la fine della linea dura, senza per questo tornare alle politiche larghe di un tempo.
L’ottimismo a dire il vero ha cominciato a circolare, perché si ritiene che le crisi internazionali in atto indurranno per forza a condotte più miti sul versante monetario. «La nuova informazione sugli aspetti determinanti per la decisione (inflazione sottostante, dati rilevanti per le prospettive di inflazione, trasmissione della politica monetaria) non ha mostrato andamenti che possano mettere in discussione le valutazioni di metà settembre – si legge in una nota della Direzione Studi e Ricerche di Intesa Sanpaolo –. Al contrario, i movimenti di mercato stanno amplificando la trasmissione della politica monetaria». Una scommessa su decisioni invariate, con possibile mantenimento prolungato di un certo livello di tassi. Comunque ciò non se lo augurano i titolari di mutui o chi ne aspira.